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ARGOMENTO: Calendario dell'Avvento 2012

Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14178

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ELIOGABALO E MATUSALEMME

Il piccolo e zoppo Matusalemme ed Eliogabalo (detto Gabalo) erano due ragazzi poveri della città. Avevano sempre vissuto, dalla nascita, nel collegio dei ragazzi poveri.
«Sai che domani è Natale?» chiese Gabalo, un giorno che tutti e due stavano spalando la neve dall'ingresso dell'istituto.
«Ah, davvero?» rispose Matusalemme. «Spero proprio che la signora Pynchurn non se ne accorga. Diventa particolarmente antipatica nei giorni di festa!»

L'antipatica signora Pynchum era la direttrice dell'istituto dei poveri, ed era temuta da tutti. Matusalemme proseguì: «Gabalo, tu credi che Babbo Natale ci sia davvero?».
«Certo che c'è».
«E allora perché non viene mai qui alla casa dei poveri?».
«Beh», rispose Gabalo, «noi stiamo in una strada tutte curve, lo sai no? Forse Babbo Natale non riesce a trovarla».
Gabalo cercava sempre di mostrare a Matusalemme il lato bello delle cose, anche quando non c'era!

Proprio in quel momento un'automobile investì un povero cane che cadde riverso sulla neve. Gabalo corse subito in suo aiuto e vide che aveva una zampa rotta. Fece una stecca e fasciò strettamente la zampa del cane. Gabalo lesse sul collare che il cane apparteneva al dottor Carruthers, un medico famoso nella città. Lo prese in braccio e si avviò verso la casa dei dottore.

«Io sono tutto quello che lui possiede»

Il dottore aveva una gran barba bianca lo accolse con un sorriso e gli chiese chi aveva immobilizzato e steccato così bene la zampa dei cane.
«Perbacco, io, signore», rispose Gabalo e gli raccontò di tutti gli altri animali ammalati che aveva guarito.
«Sei un ragazzo davvero in gamba!» gli disse alla fine il dottor Carruthers guardandolo negli occhi. «Ti piacerebbe venire a vivere da me e studiare per diventare dottore?».
Gabalo rimase senza parole. Andare lontano dalla signora Pynchum e non essere più uno «della Casa dei Poveri», diventare un dottore! «Oh, oh s-s-sì, signore! Oh ... ».

Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Gabalo se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Matusalemme?
«lo... io vi ringrazio, signore» disse. «Ma non posso venire, signore! E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime corse fuori dalla casa».

Quella sera, il dottor Carruthers si presentò all'istituto con le braccia cariche di pacchetti. Quando Matusalemme lo vide cominciò a gridare: «è arrivato Babbo Natale!».
Il dottore scoppiò a ridere e, mentre consegnava al ragazzo un pacchetto dai vivaci colori, notò che zoppicava e gli fece alcune domande. Dopo un attimo, il dottor Carruthers disse: «Conosco un ospedale in città dove potrebbero guarirti. Hai parenti o amici?».
«Oh, sì», rispose subito Matusalemme, «ho Gabalo!».
Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Gabalo. «È per lui che non hai voluto venire a stare da me, figliuolo.»
«Beh, io... io sono tutto quello che lui possiede», rispose Gabalo.
Il dottore, profondamente commosso, disse: «E se prendessi anche Matusalemme con noi?».
Questa volta a Gabalo non importò che tutti vedessero le sue lacrime, e Matusalemme si mise a battere le mani dalla gioia. Naturalmente non sapeva che sarebbe guarito e che un giorno Gabalo sarebbe diventato un chirurgo famoso. Tutto quello che sapeva era che Babbo Natale aveva trovato la strada per la casa dei poveri e che lo portava via con Gabalo.

Per vivere diversamente

«Io sono tutto quello che lui possiede» dice Gabalo di se stesso pensando al suo più caro amico.
L'amicizia è un tesoro prezioso.
Celebrando la festa dell'amicizia tra Dio e gli uomini è giusto ricordarsi dei propri amici.
Discutete insieme. Qual è il segreto per avere amicizie autentiche ed arricchenti?
Che cosa apprezzate di più in un amico?


Preghiamo
Si dice che Mosè
non ti poteva guardare faccia a faccia
e che si levò i sandali per parlarti,
e questo è vero.
Che Isaia profeta si purificò le labbra
con un carbone acceso per pronunciare il tuo nome,
e questo è vero.
Si dice che il tuo popolo
ha curvato davanti a te la fronte nella polvere,
davanti a te Dio grandissimo per pregarti,
e questo è vero.
Ma tu sei il Dio che ama
e ti rifiuti di vedere l'uomo tremare davanti a te.
E per farti veramente conoscere,
hai preso posto in mezzo agli uomini.
Tu sei divenuto tutto prossimo.
Tu sei venuto in Gesù Cristo,
tuo amato Figlio,
a mostrare il tuo vero volto lucente di sudore,
corrugato per le preoccupazioni,
inquieto per la fame,
illuminato da mille soli per l'amicizia,
spezzato dal dolore.
lo so che questo è vero.
Io non ho più paura
perché Dio è con me.
Dio tra gli uomini,
Dio così vicino.
Dio.
Uomo.
lo so che questo è vero.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14179

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LA STRADA GIUSTA

Iniziò a intagliare la statuina dalla testa. I pezzettini di legno saltavano via sotto le mani esperte, rivelando i tratti del volto. Poi passò al corpo e scolpì una bella giacca a doppio petto con camicia e perfino una cravatta ben annodata, nonostante le dimensioni ridotte della scultura.
- Papà, cosa stai facendo? - chiese un bambino entrando nel laboratorio.
- Preparo un presepio per un cliente.
- E il nostro? Quando lo finiamo?
Già, il loro presepio. Erano passati molti anni da quando lo aveva iniziato, esattamente otto, l'età del figlio. La capanna e la sacra famiglia erano stati i primi a essere realizzati poi, a ogni natale, era riuscito ad aggiungere solo una statuina o una piccola casa. In effetti…
- Ma che razza di presepio stai facendo? - lo interrupe il figlio indicando l'oggetto che stava lavorando. - Una statuina con la giacca e la cravatta? Proprio brutta…
- Non fare il criticone: è per un presepio moderno.
- Non mi piace.
- Non ti piace la mia statuina? Forse non sono stato bravo a scolpire questo uomo d'affari? Adesso lo chiediamo a Pepe.
Un cagnolino bianco e nero si sollevò sulle zampe posteriori e gli si appoggiò alle ginocchia. Poi fiutò con gran cura la statuina abbozzata e infine…
- Ecciù!- starnutì storcendo il muso.
- Bravo Pepe! Hai ragione: è proprio una schifezza!
- Sentite, voi due, - disse l'uomo con un mezzo sorriso, - non è il caso di passare alle offese. E poi, a quel cagnolino traditore è solo entrata un po' di polvere di legno nel naso.
- A noi due non piace un presepio moderno - ripeté il figlio sollevando il cagnolino da terra.
Il padre lo guardò senza smettere di sorridere, poi tirò fuori da una scatola alcune statuine già pronte e dipinte: una signora indaffarata con occhiali da sole, un fattorino con un grosso pacco tra le mani…
Il bambino che si era ripromesso di mantenere un'espressione disgustata, non riuscì a trattenere un "accipicchia!" accompagnato da una serie di "bau bau" del cane quando dalla scatola uscì una bellissima macchina fuoriserie.
- Vedo che ti sei convinto.
- Piacerebbe anche a me una macchina così.
- Questa però fa parte del presepio che mi ha ordinato la banca. Vedi, vogliono metterlo nell'atrio, dove tutti quelli che entrano potranno ammirarlo.
- Non dirmi che le statuine andranno a trovare Gesù bambino con una macchina come quella…
- Beh, non proprio tutti… - disse riprendendo a lavorare sulla statuina dell'uomo d'affari. - Vedi, hanno pensato di mettere Maria, Giuseppe e il bambino dentro una costruzione che ricordi la banca.
- Gesù nella banca?
L'uomo si grattò la testa imbarazzato. In effetti, che ci faceva Gesù in una banca? Appoggiò allora la statuina dell'uomo d'affari su una sedia e fece cenno al figlio di avvicinarsi e di sedersi sulle sue gambe.
- Può sembrare strano, ma così vogliono far capire alla gente che la banca è un luogo ospitale e sicuro. Loro non avrebbero mai cacciato nessuno, come invece hanno fatto osti e albergatori a Betlemme duemila anni fa. E così, una folla di gente indaffarata ma tranquilla si muove per le strade, a piedi e in macchina, pronta a far visita a Gesù e…
- …alla banca.
- Già.
Il bambino, pensieroso, tenne per un momento la testa china; poi la rialzò e guardò in faccia il papà.
- Una bella schifezza! Noi preferiamo Gesù bambino nella mangiatoia, tra l'asino e il bue, e non tra la signora elegante e quell'uomo, vero Pepe? - disse al cagnolino indicandogli la statuina adagiata sulla sedia.
Pepe non se lo fece ripetere due volte: seguendo il gesto del padroncino, fece un balzo sulla sedia, afferrò l'uomo d'affari tra i denti e fuggì via come una saetta.
- Torna subito qui! - gli urlò il padrone, ma non riuscì ad alzarsi subito. - Scendi, Matteo, che devo prendere quel traditore di un mangia ossi!
- Papà, io non c'entro… non sono stato io…
Si sentiva in colpa perché sapeva quanta fatica faceva suo padre per intagliare il legno.
- Lasciamo perdere, non ho tempo adesso - gli rispose schizzando via.
Pepe si era dileguato. In casa era introvabile così come in giardino.
- Deve essere scappato nel bosco - gli suggerì la moglie.
- Già, e allora addio statuina - brontolò avvilito.
- Forse ritorna… si è solo spaventato per le tue urla - cercarono di consolarlo. - Fa sempre così quando ha paura di essere sgridato.
- Già, magari adesso è colpa mia.
- Dai, non fare così…
- Scusatemi, - li interruppe imbronciato, - torno a lavorare.
- Comunque stasera quel cane va a dormire senza mangiare - aggiunse scendendo le scale che portavano al laboratorio.
- Non ti preoccupare, Matteo, lo sai anche tu che non sta dicendo sul serio.
- Sì, mamma.
Abbassò la testa e con le mani dietro la schiena si allontanò tristemente. Dopo tutto era stato lui a istigare Pepe a compiere quel furto.
- Comunque questo è molto più bello di quella schifezza della banca - disse sottovoce quando fu di fronte al suo presepio.
Lo avevano montato da pochi giorni, lui e il suo papà. Sullo sfondo vi erano una serie di colline basse che nascondevano l'orizzonte. Qualche albero qua e là nella pianura rendeva il deserto meno arido. A sinistra sorgeva un villaggio di povere case bianche e alcuni recinti trattenevano greggi di pecore impazienti di uscire. Poche statuine si dirigevano verso una capanna circondata da una recinzione dove un fuoco illuminava un uomo e una donna indaffarati. Un asino e un bue riposavano nella paglia. Alcuni altri personaggi si muovevano invece verso il villaggio.
- Ci vorrebbero altre statuine. Non è giusto che ogni anno Gesù riceva così poche visite: penserà che in questa casa ci siamo dimenticati di lui.
Poi ebbe un'idea. Corse in camera sua e aprì la cassa dei giochi e raccolse tutti i soldatini di plastica, qualche supereroe e alcuni mostri spaziali.
- Bene - esclamò soddisfatto. Sapeva che non gli avrebbero mai permesso di mettere quegli oggetti in mezzo al presepio e nemmeno a lui sarebbero piaciuti: con quelle facce avrebbero sicuramente spaventato Maria, Giuseppe e soprattutto il piccolo Gesù. Se riusciva, però, a nasconderli ben bene dietro a una collina…
- Ecco fatto! Nessuno li vedrà, ma almeno questo presepio sarà un po' più vivace. Gesù non si spaventerà e non sarà così solo.
Pepe ritornò a tarda sera con la coda tra le gambe. Appena entrato in casa, si diresse verso il capofamiglia e si sdraiò sulla schiena in atto di resa. Potevano sgridarlo ancora?
- Te l'ho già detto: sei un cane traditore. Se qualcuno mi chiederà mai di intagliare la statuetta di Giuda Iscariota, mi ispirerò a te! - brontolò mentre il cagnolino lo guardava con occhi melanconici.
- Dai, vieni a mangiare - lo invitò infine dandogli una grattatina alla pancia. - Comunque, mi piacerebbe tanto sapere dove hai nascosto il mio uomo d'affari.
- Bau! - gli rispose il cane rimettendosi in piedi e correndo verso la ciotola piena di cibo.

Passarono molti giorni e giunse la vigilia di Natale. Il presepio moderno faceva bella mostra nell'atrio della banca e le statuine di un bambino e di un cagnolino accostate a un bell'albero comparvero tra quelle del presepio di Matteo.
- Due personaggi nuovi: magnifico! Allora posso togliere i miei pupazzetti dalla collina.
- Una banda di mostri in visita a Gesù? - commentò sorridendo il papà.
- Meglio questi che nessuno. Erano anni che Gesù bambino si stava annoiando… ma quelli, siamo io e Pepe, non è vero? - cambiò discorso felice.
- Può darsi… ma siamo sicuri che Gesù apprezzerà la presenza di un furfante a quattro zampe? Tu cosa ne dici, Pepe?
- Bau! - ribatté il cagnolino sentendosi chiamare.
- Adesso ti acchiappo e te le suono di santa ragione - gli disse il padrone in tono scherzoso.
Il cane però prese molto sul serio quelle parole e fuggì rapido.
- Papà, lo hai fatto scappare di nuovo!
- Ma stavo solo scherzando. Che razza di cane: adesso è diventato anche permaloso!
Pepe era tornato al suo nascondiglio nel piccolo bosco di fronte alla loro casa. Era una specie di cuccia naturale, scavata ai piedi di un grande albero. L'aveva riempita di un sacco di cianfrusaglie come pupazzetti di plastica, pezzi di stoffa, palline di ogni tipo, oggetti irriconoscibili e… un uomo d'affari intagliato nel legno. Gli era parso che potesse avere un buon sapore e gli aveva rosicchiato appena appena i piedi e le frange dei pantaloni che in verità sembravano una lunga gonna a pieghe, essendo stati appena abbozzati. Il gusto però si era dimostrato orrendo e lo aveva abbandonato.
Si rigirò tra le sue cose e si addormentò. Era ormai piuttosto tardi quando, movendosi, si sentì pungere in un fianco.
- Cai! - guaì balzando in piedi. Poi si voltò in cerca del colpevole. L'uomo d'affari lo guardò con aria indifferente, ma il suo ombrello appuntito lo tradì.
- Bau! Bau! Bau! - abbaiò con forza Pepe, ma l'uomo d'affari non fece nessun gesto di sottomissione; non era nel suo carattere, d'altra parte.
Pepe lo squadrò e poi decise: un oggetto così pericoloso e di cattivo gusto non poteva restare un minuto di più nel suo nascondiglio segreto. Lo afferrò tra i denti e ritornò nella casa dei suoi padroni.
Tutti erano andati a dormire e dentro era buio. Solo il presepio emetteva qualche luce che rischiarava la capanna e il villaggio. Si avviò allora in quella direzione e si arrampicò sulla poltrona che confinava col presepio; appoggiò la testa al bracciolo e si fermò pensieroso.
- Lasciami! Lasciami! - sembrava dicesse l'uomo d'affari con l'ombrello in una mano e la borsa nell'altra. - Devo andare, adesso: mi hai già fatto perdere un sacco di tempo.
Un pensiero improvviso passò nella mente di Pepe: - Sete!
Aprì la bocca e lasciò cadere la statuina, poi corse verso la sua ciotola dove bevve avidamente; infine si sdraiò sul tappeto e si addormentò.

- Lo sapevo: è tardissimo - brontolò dopo aver dato un'occhiata all'orologio. Quindi si diede un'aggiustatina alla cravatta e fece per avviarsi, ma si arrestò immediatamente. - Dove sono? - si chiese preoccupato, notando il terreno arido e sabbioso tutt'intorno a lui.
Pensò a lungo per trovare una spiegazione logica a quel problema, com'era abituato a fare da sempre. Scartò tutte le soluzioni finché non gliene rimase una sola: - Devo essere rimbambito! Non può essere diversamente, altrimenti perché alla fine di dicembre mi trovo da solo su questa spiaggia?
Alcune palme e qualche albero sconosciuto contribuirono ad aumentare la sua confusione.
Ma non si perse d'animo. - Troverò qualcuno che mi indicherà la strada giusta! Andrò in quella direzione - disse risoluto indicando a se stesso una zona dove gli alberi sembravano farsi più fitti.
- Ehilà, signore! Sì, dico a lei.
Un giovane che guidava con un bastone un piccolo gregge di capre, si fermò al richiamo.
- Senta, credo di essermi perso.
Il pastore lo guardò attentamente e un sorriso trattenuto a stento gli si disegnò sul volto.
- In pratica non so nemmeno come sono capitato qui… ehi! Ma che razza di vestiti indossa? - sbottò osservandolo meglio. - Non è mica carnevale…
Quindi assunse un'espressione perplessa, e infine commentò ad alta voce: - Mi sa che sono finito in Arabia…
Ma l'uomo, che era riuscito a resistere fino a quel momento, come tutta risposta scoppiò in una sonora risata, incontrollabile e sgarbata.
- Non ho detto nulla di spiritoso! Stavo solo cercando di capire… Insomma! La smetta di ridere: non ho tempo da perdere e sono già in ritardo.
Il giovane non gli diede retta e, senza nemmeno rispondergli, spinse le sue capre in direzione delle colline scosso da risa continue.
- Il mondo è pieno di gente poco seria! - fu il suo unico commento, quindi si riavviò.
Era stanco, sudato, demoralizzato e la sete lo stava torturando già da tempo, quando intravide un pozzo in mezzo a un piccolo gruppo di palme.
Una donna aveva già riempito una giara e si accingeva a fare lo stesso con la seconda.
- La prego, le chiedo solo due cose: un'informazione e soprattutto un po' d'acqua.
La donna si coprì immediatamente il volto.
"Sì, devo essere proprio in Arabia" pensò notando quel gesto.
In realtà la donna non voleva mostrarsi sgarbata e aveva così coperto il sorriso che le era comparso sul volto.
- Beva pure - lo invitò porgendogli la brocca.
L'uomo bevve avidamente e non si preoccupò dell'acqua che scendendogli sul volto gli stava bagnando giacca e camicia.
- Cosa voleva sapere da me?
- Credo di essermi perso.
- Da dove viene?
- Io vengo da…
Buio completo: non sapeva cosa risponderle! Un vero dramma per uno come lui che aveva una risposta a ogni domanda. Perché non gli aveva chiesto come investire al meglio i propri denari?
- Non si sente bene?
- Sì, ma… sto cercando la mia banca!
Ecco, quella era la risposta giusta. Non c'erano più dubbi: doveva recarsi presso la sua banca dove tutto sarebbe tornato normale.
- Cos'è una… banca?
Caspita! Possibile che in Arabia non sappiano ancora cos'è una banca? E adesso come faccio a spiegarglielo?
- Un edifico dove tanta gente lavora ai computer, dove circola molto denaro, dove si fanno investimenti e… oh insomma! È possibile che lei sia così ignorante? - sbottò alla fine osservando il volto perplesso della donna.
- Io sarò ignorante, ma non sono maleducata! - ribatté offesa. - Avrei avuto molte ragioni per ridere di lei, ma non l'ho fatto.
- Ridere di me? Nessuno si è mai permesso.
"A parte quel villanzone di un pastore" pensò.
- Stento a crederle vedendo com'è conciato. Perché non mi spiega che cosa sono quelle cose che indossa?
- Una giacca di sartoria, una camicia di cotone, una cravatta di seta, un paio di…
Un paio di niente! Ecco perché ridevano di lui: al posto dei pantaloni aveva una strana gonna a pieghe! Le scarpe poi… erano tutte sbrindellate! Forse colpa della sabbia e dei sassi del deserto.
- Ha ragione, ma non posso mica togliermela - disse indicando la gonna: - rimarrei in mutande.
- Mutande? Che cosa sono le mutande?
- Senta, prima che diventi matto, sia così cortese da indicarmi la strada per la mia banca - la invitò secco.
Ma la donna raccolse in fretta le sue cose e si allontanò di corsa senza rispondergli.
- Il mondo è pieno di ignoranti! - fu il suo unico commento.
Camminò ancora a lungo, riparandosi col suo ombrello dai cocenti raggi del sole.
- Mi avevano assicurato che queste scarpe sarebbero state comodissime e indistruttibili - brontolò guardando come si erano ormai ridotte. - Forse però non pensavano a una lunga marcia in questa pianura desolata.
Una carovana di cammelli e molti uomini lo distrasse da quei pensieri.
- Signori, vi prego di non ridete di me. Vengo da molto lontano e sono vestito come si usa dalle mie parti - li anticipò appena li ebbe raggiunti.
- Anche noi siamo stranieri e, come vede, i nostri vesti lo rivelano - gli rispose bonariamente un vecchio uomo dal volto solenne.
Poi ordinò a uno dei suoi uomini a disporre un tappeto in terra.
- Si sieda con me a bere e mangiare qualcosa.
L'uomo d'affari accettò l'invito ben volentieri.
- Vede, sto cercando la mia banca - disse alla fine del pasto.
- Siamo tutti in cerca di qualcosa.
- Anche lei ha perso la sua banca?
- No, e non so nemmeno che cosa sia una banca; io sto cercando una stella che cambierà la mia vita.
- Una stella del cinema, immagino - sorrise ironico l'uomo d'affari.
- Lei parla davvero in modo strano. Da dove viene?
Ecco, ancora quella domanda! Comunque, non volendo mostrarsi sgarbato, rispose a caso: - Vengo da nord.
- Da nord - ripeté pensieroso il suo ospite. - Non è mai venuto nulla di buono da nord.
"Lo sapevo: ho sbagliato risposta" pensò deluso l'uomo d'affari.
- Non si offenda: mi sto riferendo ai presagi. Vede, io sono astrologo, negromante e indovino e le stelle mi hanno sempre mandato brutti segni da nord.
- Io credo solo ai numeri e alle statistiche, non certo a queste baggianate… - ribatté prima di mettersi una mano sulla bocca per non fare uscire altre parole sgarbate.
"Tutta colpa del sole che mi ha cotto il cervello." - considerò subito dopo.
Se avesse potuto, si sarebbe preso a sberle: adesso il mago non lo avrebbe più aiutato di certo.
- Cosa vuol dire "baggianate"? - gli chiese invece quello senza nemmeno scomporsi.
- No, vede, io sono abituato a trattare affari e ho difficoltà a credere alle profezie delle stelle.
- Ah, è un mercante… e allora dovrebbe sapere che le stelle e le arti magiche potrebbero aiutarla a migliorare i suoi affari.
Batté le mani e uno dei suoi servi gli portò un piatto di metallo e alcune piccole bottiglie di vetro colorato.
- Versi un po' di questo liquido nel piatto - lo invitò.
- Io veramente non ho molto tempo… sto cercando la mia banca.
- Me l'ha già detto, ma adesso obbedisca.
La voce non ammetteva repliche e allora versò. Bastarono poche gocce per far balzare in piedi il vecchio mago.
- Lei… lei… viene da nord…
- Bella scoperta, glielo detto io un attimo fa - mormorò sottovoce l'uomo d'affari.
- Ma il suo passato… non esiste! Lei è un uomo senza passato!
Lanciò quindi alcune grida rauche e pochi istanti dopo la carovana fu pronta a partire.
- Lei sta cercando la cosa sbagliata - gli rivelò infine e riprese il suo cammino lasciandolo solo nel deserto con un otre d'acqua.
- Il mondo è pieno di matti! - esclamò l'uomo d'affari quando se ne furono andati. Poi si scrollò la sabbia di dosso, raccolse l'otre e riprese a camminare, ma il suo umore era pessimo.
- Non so più cosa fare: perderò il mio lavoro se non ritrovo presto la mia banca!
Camminò ancora a lungo, finché alcuni rumori, quasi grida d'aiuto, gli comunicarono segni di vita subito al di là della collina più vicina.
- Cosa le è successo? - chiese a un uomo disteso per terra, e per farlo riprendere più in fretta gli fece bere un po' d'acqua dell'otre.
- Sono stato aggredito dai briganti. Stavo portando dei regali a mio cugino al villaggio qui vicino.
- Non si affatichi troppo.
L'uomo bevve ancora e riprese a parlare. - Mi hanno rubato tutto, anche l'asino e i vestiti.
Si sollevò seduto e si appoggiò a una pietra.
- Ma lei, con quegli abiti, da dove viene?
L'uomo d'affari sbuffò; avrebbe voluto rispondergli che erano fatti suoi e che era stufo di tutte quelle domande: aveva bisogno di risposte, non di domande!
- Non si offenda, ma temo che stia rischiando anche lei: quei vestiti bizzarri attireranno sicuramente i briganti e la ridurranno come me.
- Il mondo è pieno di ladri! - commentò l'uomo d'affari a voce alta.
- Come è vero… però ci sono anche tante brave persone come lei.
- Tenga la mia giacca: forse non le piacerà ma la riparerà dal sole cocente.
Poi gli bendò la ferita alla fronte con la cravatta.
- Vede, sto cercando la mia banca… lei può aiutarmi?
Forse per non offenderlo o per cercare di ricambiarlo in qualche modo, l'uomo gli rispose di sì.
- Non segua la strada delle colline, ma quella bassa. In paese troverà tutto quello che cerca. Anch'io verrò in paese, prima però devo recarmi da mio cugino.
- Grazie, e tenga pure l'otre: ne ha più bisogno di me.
L'uomo si alzò, osservò per un attimo la giacca ricevuta in dono e quindi la rivoltò. - Adesso è più bella! - concluse soddisfatto.
- Il mondo è pieno di zotici! - commentò fra sé l'uomo d'affari osservando la sua giacca firmata ridotta a uno straccio.

Alcune case bianche e piuttosto misere gli segnalarono l'entrata del paese. Divennero via via più numerose, e anche la gente aumentava.
Nessuno faceva molto caso al suo abbigliamento. Da una parte la camicia e il gonnellone da soli non erano così appariscenti, dall'altra il villaggio sembrava popolato da gente proveniente da ogni parte del mondo che sfoggiava vestiti strani e di svariati colori.
D'improvviso gli comparve d'innanzi un uomo con una folta barba nera e due sopracciglia cespugliose.
- Sei un Romano? - gli chiese sottovoce, come se avesse voluto confidargli un segreto.
Beh, non era proprio di Roma, ma forse era più romano lui di tutti gli abitanti di quel paese.
- Sì, quasi - rispose allora.
- Ho visto che ti guardavi attorno: hai perso qualcosa?
- Sì, la strada per la mia banca…
- Banca…
"Un altro ignorante!" pensò l'uomo d'affari. Ma fu subito smentito.
- Sei proprio un Romano. Qui vogliamo molto bene ai Romani - affermò deformando il volto in una smorfia incomprensibile. - Vieni con me, conosco un luogo dove potrai trovare tutte le banche che vuoi.
- Magnifico! Forse non saranno la mia, ma almeno loro sapranno indicarmi la strada giusta.
L'uomo gli rispose con un sorriso sgradevole e fece segno di seguirlo.
- Il mondo è pieno di amici! - esclamò soddisfatto l'uomo d'affari.
Camminò per vicoli e viuzze sempre più stretti e tortuosi seguendo l'uomo che a un certo punto fischiò.
A quel richiamo, sbucarono da tutte le parti altri personaggi loschi che iniziarono a suonargliele di santa ragione.
- Stavo solo cercando… - provò a dire senza successo.
Cercò dapprima di ripararsi con la borsa, poi scappò a gambe levate. Tuttavia una decina di persone inferocite gli fu subito dietro.
Era allo stremo delle forze quando, svoltato un vicoletto, una mano lo afferrò e lo trasse all'interno di una casa.
- Il mondo è pieno di imbecilli, e io sono uno di questi! - sbottò cercando di riprendere fiato.
- Non ti arrabbiare troppo: quelli ce l'hanno a morte con i soldati romani.
- Ma io non sono un soldato, e non sono neppure romano!
- Non importa: adesso ti ho ritrovato e posso sdebitarmi.
- Ah, - esclamò riconoscendolo - tu sei il ferito a cui ho dato la mia giacca. - Grazie per l'aiuto, senza di te mi avrebbero sicuramente ripreso.
Mangiarono e bevvero insieme, poi l'uomo d'affari si alzò per andarsene.
- Devo trovare la mia banca.
- Non ci sono banche qui: ho chiesto anche ai miei conoscenti e nessuno sa che cosa siano.
- Non importa, troverò la strada da solo.
- Come vuoi.
Prima di lasciarlo andare, gli porse una giacca e una cravatta - Riprendili pure, non ne ho più bisogno, e poi stanno sicuramente meglio indosso a te.

Ormai il sole era tramontato e qualche punto luminoso nella pianura e sulle colline segnalava che vi erano persone che si stavano preparando a passare la notte all'aperto.
- Devono essere pastori - considerò a voce alta per sentirsi meno solo. - Ormai si è fatta sera e in paese non torno di certo: andrò da loro, forse vorranno ospitarmi.
Scelse il fuoco più luminoso e accelerò l'andatura. Impiegò molto tempo per raggiungere la meta, ma ancora prima che potesse rivelare la sua presenza, il fuoco sembrò aumentare d'intensità e una luce sfolgorante lo accecò.
- Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia.
A quella voce, comparve una moltitudine di esseri celestiali che lodava Dio e diceva: - Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini che egli ama!
Rimase stordito a lungo. Riuscì a muoversi solo quando i pastori si furono alzati ed ebbero spento il fuoco. Li vide poi avviarsi nella direzione indicata loro dall'apparizione.
- Se sta per nascere un Salvatore, forse è proprio da lui che devo recarmi. Chissà, forse saprà dirmi dov'è la mia banca.
Raccolse la sua borsa e il suo ombrello e si rimise in cammino. Ben presto non fu più solo: numerose persone provenienti da ogni direzione avevano creato un corteo nel buio della notte, rischiarato da una stella incredibilmente luminosa.
- Il mondo è pieno di gente che vuole essere salvata - commentò.
- Ciao! - gli disse all'improvviso un bambino che non aveva visto avvicinarsi.
- Salute a te - gli rispose allegramente.
- Grrr… grrr… grrr…
- Basta, Pepe! Basta! Non essere maleducato.
- Lascialo fare - lo fermò bonariamente l'uomo d'affari. - Ormai le mie scarpe sono ridotte proprio male.
- Anche tu stai andando alla stalla?
- Sì, ho smarrito la strada per la mia banca… forse lì troverò finalmente qualcuno che saprà dirmi cosa devo fare.
- Anch'io vado alla stalla, vuoi fare la strada con me? - gli propose il bambino.
- Certo! - acconsentì e non si sentì più solo.
Il percorso fu breve e senza preoccupazioni. Si fermarono quando giunsero nei pressi di una misera capanna, dove si erano raccolte molte altre persone.
- Dov'è il Salvatore? - chiese subito l'uomo d'affari alla prima persona che incontrarono. - Ho bisogno di lui.
L'uomo gli indicò l'interno della stalla. Tra un asino e un bue, in una mangiatoia, giaceva un bambino fragile e indifeso. Un uomo e una donna, forse il padre e la madre, lo fissavano estasiati.
Entrò senza far rumore e si chinò presso la mangiatoia. In qualsiasi altra occasione avrebbe considerato veramente sciocco rivolgersi a un neonato, ma era così stanco e senza altra speranza che parlò ugualmente.
- Sto cercando la mia… - iniziò, ma la voce gli si spense in gola prima che avesse finito la frase.
La giovane madre lo guardò e gli rivolse un sorriso lieve, come d'invito a continuare.
Con un moto di sollievo, si allentò la cravatta e continuò il suo discorso.
- Sto cercando da tempo la strada giusta, la mia strada… ma adesso sono confuso e non so più quale sia.
Proprio in quell'istante si udì un coro di voci celestiali alle quali il neonato rispose con un gridolino e agitando braccia e gambe.
L'uomo d'affari si alzò e uscì dalla stalla. Raggiunti i suoi nuovi amici, si appoggiò stancamente a un albero.
- Hai trovato quello che cercavi? - gli chiese il bambino, mentre il cagnolino aveva ripreso a rosicchiargli le scarpe.
Allargò le braccia e rispose: - Il mondo è pieno di cose… - ma si interruppe.
Sospirò profondamente e con un gesto cancellò la stupida frase che stava per dire. Quindi indicò la mangiatoia e continuò con più convinzione: - Non so cosa sia successo, ma adesso ho il cuore più leggero e tutte le preoccupazioni sono scomparse.
- Hai trovato la strada per la tua banca?
- Sono sicuro che quel bambino è nato anche per me. Lui è la mia strada.

- Papà! Papà! Vieni a vedere!
- Cosa c'è, Matteo?
- Guarda lì! Vicino alla mia statuina e a quella di Pepe! - gli rispose puntando un dito verso il presepio.
- Roba da non crederci: il mio uomo d'affari! Chi l'avrebbe mai detto! Ma com'è ridotto… Mi piacerebbe proprio sapere come ha fatto a finire nel presepio. Pepe, ne sai nulla tu?
Il cagnolino scodinzolò titubante, ma fu subito rassicurato da una carezza del padrone che poi si girò verso il presepio per togliere quella statuina così fuori posto.
Matteo però lo trattenne.
- Lascialo, papà! Non vedi com'è soddisfatto? Secondo me si trova benissimo in questo presepio.
- Ma non avevi detto che era una schifezza? Comunque, se proprio insisti…
Dopo aver guardato con attenzione la sua statuina, aggiunse: - In effetti, così conciato non sembra nemmeno un uomo d'affari con giacca e cravatta in cerca della sua banca.

Preghiamo
Signore, spesso le nostre azioni ci portano
a percorrere strade che non conducono a nulla,
vie che portano alla sofferenza,
cammini segnati solo dal nostro egoismo e
dal desiderio di prevalere.
Insegnaci a trovare la nostra strada,
quella che conduce alla pace,
quella che conduce alla giustizia,
l'unica illuminata dal tuo Amore.

Fa', o Signore, che tutti gli uomini di buona volontà
trovino la strada che hai tracciato per loro,
la strada giusta.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14180

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HATEM IL BUONO

C'era una volta un signore molto ricco che aveva un figlio.
Questo figlio si chiamava Hatem ed era molto buono con i poveri: li aiutava in ogni modo, dava loro cibo e vestiti e avrebbe dato perfino la vita se fosse stato necessario.

Il re di quella terra sentì parlare di quest'uomo così buono e divenne geloso della sua popolarità. Ordinò alle sue guardie di bruciare la casa di Hatem e di appendere un cartello nella strada:
«Chi mi porterà Hatem vivo o morto riceverà una ricompensa di 25.000 ducati d'oro».
Gli amici di Hatem lo avvertirono e gli dissero di abbandonare subito la città. Così travestito da mendicante si rifugiò nella foresta. Camminò per miglia e miglia finché trovò una caverna dove poté riposarsi.
Si era appena seduto su un tronco e stava riflettendo sulla sua sventura, quando sentì un povero tagliaboschi che, appoggiato ad un albero lì vicino, diceva: «Se trovassi Hatem tutti i miei problemi sarebbero risolti».
Hatem ebbe pietà del vecchio e gli disse: «Eccomi, sono Hatem. Portami dal re e riceverai la ricompensa promessa».
Il vecchio rimase stupito, ma non seguì il consiglio di Hatem perché non voleva che egli morisse.
All'improvviso si sentì un fruscio tra i cespugli e, prima che Hatem potesse capire di cosa si trattasse, quattro guardie del re lo avevano bloccato.
Ogni guardia desiderava per sé l'intera ricompensa e cominciarono a discutere. Ognuna di loro sosteneva di avere trovato Hatem per prima. Alla fine lo portarono al Palazzo reale dove il re in persona lo interrogò.
Hatem disse che l'unica persona che meritava veramente la ricompensa era il povero tagliaboschi, il primo che lo aveva trovato. Il re fu colpito dall'onestà di Hatem e scese dal trono per abbracciarlo.
Hatem divenne ministro del re e il vecchio tagliaboschi ebbe i ducati che gli spettavano.

Donare con amore

La gioia dì una festa è veramente piena solo quando la si condivide.
Il racconto di Hatem ci vuole ancora una volta far riflettere su quello che Gesù ha detto: «C'è più gioia nel donare che nel ricevere».

Hatem sarebbe stato capace di dare la sua vita per far felice un povero. La nostra gioia sta, sovente, in un dono più piccolo, ma altrettanto importante. A volte basta solo un sorriso.


PREGHIERA

Cristo non ha più mani,
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi le sue opere.

Cristo non ha più piedi,
ha soltanto i nostri piedi
per andare incontro agli uomini.

Cristo non ha più voce,
ha soltanto la nostra voce
per parlare oggi di sé.

Cristo non ha più vangeli
che gli uomini leggano ancora.
Ma ciò che noi facciamo,
in parole e in opere,
è il vangelo
che Lui sta scrivendo ora.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14181

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NATALE AL FRONTE

Era il 1917, uno dei terribili anni della prima guerra mondiale. Sulle trincee spirava un vento gelido e c'era tanta neve. I soldati si muovevano cauti, la notte era senza luna, ma serena e tutti avevano paura di incontrare delle pattuglie nemiche, perché il nemico era lì davanti a loro.
Ad un tratto un caporale disse sotto voce: «È nato!».
«Eh?» fece un altro senza afferrare l'allusione. «Deve essere la mezzanotte passata perbacco. La notte di Natale! Al mio paese mia moglie e mia madre saranno già in chiesa».
Un altro compagno osservò: «Guardate là, c'è una grotta. Andiamo dentro un momento, saremo riparati dal vento».
Entrarono nella grotta e il più giovane del gruppo si tolse l'elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase all'entrata e voltò le spalle all'interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Il più vecchio del gruppo si tolse i guantoni, raccolse un po' di terra umida e manipolandola qualche minuto le diede la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stese il fazzoletto nell'elmetto del compagno e vi depose il Gesù bambino. Si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve.

Il caporale trascurando ogni prudenza tolse di tasca un mozzicone di candela, l'accese e la pose vicino all'insolita culla. Poi sottovoce uno cominciò a recitare: "Padre nostro che sei nei cieli...". Tutti continuarono e avevano il cuore grosso da far male.
Il raccoglimento durò ancora dopo la preghiera. Nessuno voleva spezzare l'atmosfera che si era creata.
Improvvisamente alle loro spalle una voce disse.«Fröhliche Weihnachten» (Buon Natale).
Una pattuglia austriaca li aveva colti alla sprovvista. Con le armi puntate stavano all'imboccatura della grotta. Mentre i soldati scattavano in piedi la voce ripeté con dolcezza: «Buon Natale ».
I nemici abbassarono le armi e guardarono la povera culla. Erano tre giovani e avevano bisogno anche loro di un po' di presepio, anche se povero. Si guardarono confusi, poi si segnarono e cominciarono a cantare «Stille Nacht», la bella melodia natalizia che tutti conoscevano.
Tutti si unirono al coro anche se si cantava in lingue diverse. Poi quando si spense l'ultima nota del canto il caporale si avvicinò a uno dei giovani nemici e gli tese la mano che l'altro strinse con calore. Tutti fecero altrettanto, augurandosi il Buon Natale. Poi uno degli austriaci trasse da dentro il pastrano una piccola scarpina da neonato. Doveva essere quella del suo bambino e se la teneva sul cuore, e dopo averla baciata la depose accanto al Bambino Gesù rimanendo per alcuni attimi in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguito dai compagni si allontanò voltando le spalle, senza timore, e scomparve nella notte di quel gelido Natale di guerra.

L'amore vince l'odio

«Pace in terra agli uomini di buona volontà» cantavano gli angeli attorno alla grotta di Betlemme. Anche quest'anno però in molte parti della Terra non c'è pace vera. Le armi continuano a coprire con il loro micidiale canto di morte ogni parola di pace.

La pace vera non è però frutto dell'attività dei politici: nasce nei nostri cuori e si diffonde attorno a noi. Se vogliamo che il mondo sia nella pace dobbiamo essere noi gli operatori di pace e saremo beati e chiamati figli di Dio.


PREGHIERA

In principio
con Te c'era la tenerezza.
Con lei Tu hai fatto
la volta del cielo:
hai fissato in alto
Sirio e Alfa del Centauro
e il cammino delle stelle.
Con essa Tu hai
fondato i continenti:
hai dato vita agli uccelli
tra le fronde,
all'odore della terra
dopo la pioggia,
al percorso dei delfini
tra le onde dell'oceano.
Con essa Tu hai creato
l'uomo e la donna:
la bellezza dei loro corpi
e l'amore che li culla
come un fiume di fuoco.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14182

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Uno sciopero straordinario

Il fatto e accaduto tanti anni fa quando ancora gli scioperi non erano molto conosciuti. Possiamo perciò considerarlo come il primo vero sciopero della storia.
Una storia un po' strana, però; infatti a protestare furono tutti i Babbo Natale della Terra.
Ecco perché.
Allora come oggi, durante l'intero anno, nel loro rifugio al Polo Nord, i Babbo Natale preparavano con cura i regali, ed esaminavano ogni lettera ricevuta per essere pronti a distribuire i doni ad ogni dicembre.
È un lavoro che hanno sempre saputo svolgere con precisione. Possiedono infatti numerosi mezzi di trasporto adatti per andare in ogni luogo della Terra.
Il Babbo Natale che compie il suo giro in Africa viaggia su un calesse trainato da quattro magnifici struzzi.
Quello che va in Asia sta comodamente seduto in un baldacchino sulla groppa di un elefante.
Una bella slitta trainata da renne, abituate al freddo, e usata dal Babbo Natale che viene da noi in Europa.
Naturalmente un magnifico canguro, che oltretutto possiede una borsa capiente sulla pancia, trasporta il Babbo Natale australiano.
Numerosi altri sono i mezzi che usano, ma li lascio immaginare a voi.
Purtroppo in quel lontano periodo stava accadendo qualcosa di molto preoccupante che mise presto in subbuglio l'intero Polo Nord.
- È proprio una brutta situazione - disse il Babbo Natale addetto a distribuire doni in Cina, con i suoi panda da traino al suo fianco. - Lo sapete anche oggi l'orso postino ha portato pochissime lettere?
- Purtroppo sì... e pensare che lo scorso anno ne ricevevamo centinaia ogni giorno - disse il Babbo africano strigliando il dorso delle sue zebre.
- Per non dire di alcuni anni fa, quando eravamo sommersi dalle richieste dei bambini - aggiunse quello americano.
- Sono veramente troppo poche queste lettere - intervenne quello giapponese sollevando una manciata di fogli, - e oltretutto bisogna considerare che almeno la metà le ha scritte il nostro buon orso postino che non sopporta di vederci così giù di morale.
- Davvero? - domando sorridendo quello europeo.
- Ma certo! Senti questa cosa dice: "Caro Babo Nattale, sonno un banbinno di sete anni e desiddero richevere ha Nattale una bela e sugossa bisteca di balena che non lo mai sagiata".
- Hai ragione - esclamo sorridendo a quelle parole, - nessun'altro avrebbe saputo scrivere una simile lettera. - Ma che cosa sta succedendo?
- Ve lo dico io: i bambini non credono più che Babbo Natale esista e perciò hanno smesso di scriverci.
- Ma come mai? Chi li ha convinti di questo?
- Cosa vuoi, i genitori non hanno più la pazienza di raccontare ai bambini la storia di Babbo Natale. E poi in quest'era moderna, dove le carrozze sfrecciano a destra e a sinistra, dove centinaia di velieri solcano i mari, la gente corre indaffarata, i castelli e i palazzi sorgono come funghi, chi vuoi che abbia voglia e tempo di credere a noi?
- Ma se nessun bambino ci scrive più, come faremo a portare loro i regali che desiderano?
- E infatti, anche quest'anno, solo pochi riceveranno i doni: quelli che ci hanno scritto e i bambini più ricchi, perché ai loro genitori non interessa Babbo Natale.
- Che brutta cosa!
- Terribile, dico io!
- Bisogna porvi rimedio!
- Già, e come?
- Protestiamo!
- Protestiamo?
- Certo! Con uno sciopero: quest'anno non porteremo i doni a nessuno.
- Hai ragione!
- Davvero! Inoltre stamperemo tanti volantini che distribuiremo con i nostri mezzi di trasporto, in tutta la Terra. Scriveremo così: "Babbo Natale quest'anno sciopera, perché nessuno vuole più credere in lui".
E lo fecero davvero.
Quell'anno i bambini di tutto il mondo ci rimasero molto male per non aver ricevuto neanche un dono; ma alla fine piccoli e grandi capirono i loro errori e furono davvero felici di avere riscoperto Babbo Natale, con il quale si scusarono di cuore, inviando fiumi di lettere.
E i Babbo Natale, commossi, l'anno successivo portarono il doppio di regali.

Da allora tutto e tornato normale, anche se girano brutte voci che dicono che l'orso postino da un po' di tempo a questa parte ha ricominciato a scrivere lettere a Babbo Natale.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14183

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Le Ciabatte

Era freddo. L'inverno era arrivato! Un morbido manto bianco di neve copriva tutto il paese.
In un'angusta casa, buia e fredda, viveva un piccolo vecchio tutto solo soletto. Il nostro vecchietto aveva sempre freddo ai piedi e, non avendo delle ciabatte, si teneva su l'unico paio di stivali, anche quando erano bagnati.
«Sempre meglio che scalzo!», pensava. Infatti era molto povero.
Ogni mattina si metteva sulle magre spalle il suo logoro mantello ed usciva per andare in paese. Nel cammino i suoi consumati stivali si bagnavano lentamente per la neve. Sostava sempre allo stesso posto, sui gradini di una chiesa, deponeva una ciotola per terra e attendeva che i passanti gli facessero l'elemosina. Con i soldi che riceveva si comprava da mangiare e pagava l'affitto della sua misera casa.
«Ah!», si ripeteva spesso. «Sarei contentissimo, se un giorno potessi ricevere così tanto da poter acquistare un bel paio di ciabatte per i miei poveri piedi sempre freddi!».
Così passavano giorni e settimane ed il vecchietto non riusciva a risparmiare abbastanza perché quello che otteneva era sempre troppo poco.
Arrivò la vigilia di natale e come gli altri giorni il vecchietto si diresse verso il paese. Camminava tutto assorto nei suoi pensieri, quando udì uno scampanellio alle sue spalle e si voltò... con stupore vide una bella e grande slitta, trainata da tre robuste renne. Sopra la slitta sedeva un anziano signore, arzillo e pacioccone, che si copriva le gambe con una bella coperta rossa dai graziosi disegni.
«Ah! Babbo Natale!», esclamò il povero vecchietto che fino allora non l'aveva mai visto ed ormai non ci credeva più.
Babbo Natale si fermò e gli offrì gentilmente di accompagnarlo in paese. Il vecchio, tutto contento, accettò subito e salì sulla slitta.
«Vado in paese a chiedere l'elemosina. Non riesco a trovare un lavoro. Sono troppo vecchio!» spiegò a Babbo Natale. «Purtroppo guadagno solo per il pane e l'affitto. È da molto tempo che desidero delle ciabatte per stare in casa. Tu, Babbo Natale, non potresti regalarmene un bel paio?».
«Come mi dispiace! Ho solo ciabatte piccole... sai, io faccio regali solo ai bambini e non agli adulti; infatti loro non credono più che io esista».
«Non fa niente. Ma dimmi un po'. Sei veramente Babbo Natale? Io sono molto vecchio e non ti avevo mai visto, neanche da bambino. Inoltre la tua voce mi sembra molto giovane. Non è la voce di un vecchio!».
L'uomo sulla slitta si mise a ridere: «Sì, hai ragione a dubitare! Infatti non lo sono. Mi sono vestito e truccato così per la mia bambina. Ogni natale le mettevo i regali sotto l'albero ed ogni volta rimaneva un po' male per non aver visto Babbo Natale di persona. Mi chiedeva sempre se egli fosse arrabbiato con lei; o se fosse stata cattiva per non potergli parlare. Ragione per cui questa volta voglio farle una sorpresa».
«Ah, veramente bello! Devi voler molto bene alla tua bambina!».
«Sì, davvero molto! Forse la vizio anche un po'. Ma devi sapere che la bambina non può camminare. Ha avuto un brutto incidente alcuni anni fa. I medici dicono che è colpa dello shock. Ecco perché cerco di fare il possibile affinché sia felice e serena!».
«Mi dispiace molto... ma vedrai che sarà contenta per questa sorpresa!».
«Lo spero proprio! Anche se ho timore di essere scoperto subito... sai, mi è venuta un' idea... perché non fai tu Babbo Natale? In cambio ti darò i soldi della giornata e per comprare le ciabatte».
«Come vuoi! Sono contento di poterti aiutare».
Si fermarono ed il vecchietto si vestì da Babbo Natale e prese il posto alla guida della slitta. L'uomo, che ora aveva il suo vestito ed un aspetto normale, giovane, molto elegante e distinto, sedette accanto a Babbo Natale e indicò la strada per la sua casa. Prima fecero sosta in paese a comprare dei regalini per la bambina e li misero in un sacco, poi arrivarono con calma, verso sera. Era una bellissima villetta con un grande giardino tutto coperto di neve.
La bambina era seduta alla finestra della sua cameretta e aspettava il ritorno del papà. Con stupore e felicità vide la bella carrozza e le tre renne. E tutta commossa intuì la sorpresa tanto attesa. Dalla gioia quasi cadeva dalla carrozzella: «Mamma, mamma, sono arrivati... c'è babbo natale! È con papà!».
Il padre intanto aiutava il povero vecchietto a scendere dalla slitta: era commosso pure lui, vedendo che, con quel bellissimo mantello rosso, con quella lunga barba bianca finta e con quel sacco pieno di regali sulle spalle, sembrava veramente Babbo Natale. «Vieni che ti faccio entrare. La mia bambina si chiama Francesca, sarà veramente felice di vederti». Aprì la porta e Francesca, seduta nella sua carrozzella, era già lì, portata dalla mamma, tutta commossa ed eccitata pure lei.
Il vecchietto e la bambina si guardarono negli occhi ed entrambi sorrisero, erano felici. Il vecchio notò la bellezza e la dolcezza della bambina.
«Eccomi qua!», disse Babbo Natale. «Il tuo papà è venuto a cercarmi e mi ha detto che desideri tanto vedermi e conoscermi. ti ho anche portato dei bellissimi regali...».
La bambina commossa alzò le manine per salutare babbo natale: «Sono contentissima che sei venuto, avevo tanta voglia di vederti e parlarti. Sai, voglio ringraziarti anche per tutti i regali che mi hai fatto gli anni scorsi».
Babbo Natale prese le manine e diede un bacetto sulle guance della bambina. «Ecco, quest'anno ti ho portato una bellissima bambola con un bel vestitino rosa, un bel gattino di peluche, un libro, le matite colorate e un bel gioco con i dadi che potrai fare con papà e mamma...», sorrise mentre vuotava il suo sacco.
«Oh, che belli! grazie mille Babbo Natale... ora però vorrei farti anch'io un regalo. Dimmi che cosa vorresti per natale?».
«Ah, grazie. Non importa. Io desidero solo che tutti i bambini siano felici...».
«Ma io sarei ancora più felice se potessi regalarti qualcosa...».
«E va bene... se proprio vuoi... allora vorrei avere un paio di ciabatte. Magari imbottite... ho sempre tanto freddo ai piedi...».
«Che bello... ho proprio quello che desideri... prendi quel pacchetto rosso sotto l'albero, le avevo comprate per il papà, ma sono sicura che anche lui sarà contento di dartele. Vero papà?», esclamò Francesca.
«Sì, non preoccuparti, regalale pure a Babbo Natale. Sono sicuro che sarà felicissimo!».
Babbo Natale prese il pacchetto rosso, l'aprì e tirò fuori le ciabatte che tanto desiderava...
«Oh, che belle... non vedo l'ora di metterle, devono essere veramente comode...», disse il vecchietto molto commosso.
«Dai Babbo Natale, provale e togliti il mantello. Vuoi rimanere da noi a cena? Così possiamo stare un po' in compagnia!», domandò felice la bambina.
Il vecchietto guardò il padre della bambina perché non sapeva più cosa fare e che cosa rispondere. Prima che il papà potesse dire qualcosa (anche lui era rimasto sorpreso), la mamma intervenne contenta: «Sì! accomodati pure. Saremmo tutti contenti di averti nostro ospite a cena».
«Grazie infinite. Sono molto lieto della vostra compagnia», rispose il vecchietto mentre si metteva le ciabatte e si toglieva il mantello. La bambina e i genitori videro che il vecchietto, senza il folto mantello rosso, era più magro del previsto ed indossava un vecchio maglione un po' scolorito, ma non ci fecero caso, e si accomodarono tutti contenti a tavola.
Parlarono di molte cose. Il vecchietto si sentiva in forma e raccontò molte storielle alla bambina che lo ascoltava sempre più emozionata. Mamma e papà più volte si guardarono compiaciuti per la bella serata. Il papà cominciò quasi a credere che il vecchietto fosse veramente Babbo Natale da quanta serenità e gioia riusciva a dare con i suoi racconti. Ma sapeva bene che era impossibile, perché in passato lo aveva già visto sui gradini della chiesa a chiedere l'elemosina.
La cena fu deliziosa e si fece tardi. Babbo Natale si rese conto che ormai doveva partire. Per questo motivo si congedò ringraziando mamma e papà per la cena, e si avvicinò alla bambina per salutarla. Mentre le dava due bacini sulle guance, la bambina gli bisbigliò qualcosa all'orecchio senza che mamma e papà potessero sentirli. Babbo Natale sorrise e rispose bisbigliando anche lui. Poi continuò a voce normale e serena: «Ora devo andare! È stata una bellissima serata. Grazie ancora per le ciabatte... sono molto lieto di averti conosciuta. Sii sempre così allegra e dolce, addio...».
«Addio, Babbo Natale... grazie della visita. Mi ricorderò sempre di te», salutò la bambina, un po' triste perché egli partiva, ma contenta per quell'unica occasione che aveva avuto.
Il papà mise il mantello sulle spalle del vecchietto e lo accompagnò alla porta. Fuori, non sentiti dalla bambina, disse: «Grazie, vecchio mio. Sei stato fantastico. Tieniti pure il costume di Babbo Natale con la slitta e le renne: te li sei veramente guadagnati. Non dimenticherò mai questa serata. Arrivederci».
«Addio, buon uomo!».
Il vecchietto salì sulla slitta e si avviò a casa, salutando con la mano la bambina e la mamma che nel frattempo si erano affacciate alla finestra.
Il papà tornato a casa vide la bambina felice e si ricordò che ella aveva sussurrato qualcosa al vecchietto e le domandò sereno: «Veramente simpatico questo Babbo Natale. Dimmi un po' che cosa gli hai bisbigliato?».
«È una sorpresa, non posso dirtelo».
«Dai dimmelo, non gli avrai per caso chiesto un altro regalo?», chiese di nuovo scherzando.
«Beh sì! ma non per me..., non vorrei dirtelo».
«Va bene. Ma comunque, lui che cosa ti ha risposto?», continuò il papà un po' preoccupato. Infatti sapeva che il vecchietto non era Babbo Natale e che non avrebbe potuto fare nessun altro regalo.
«Mi ha sussurrato: domani mattina, a natale!», gli rispose felicissima la bambina.
Era ormai ora di andare a letto e la bambina si addormentò subito serenamente, mentre il papà sempre più pensieroso decise di uscire. Prese la macchina e andò a trovare il vecchio nella sua piccola casa. Bussò... il vecchio aprì: era visibilmente felice e calzava le ciabatte.
«Salve, come mai da queste parti?».
«Scusami per il disturbo, ma avevo notato che Francesca ti aveva bisbigliato qualcosa all'orecchio... ti aveva chiesto un altro regalo. Beh, sono qui affinché tu me lo dica. Così posso prepararglielo per domani mattina».
«Ah! sì è vero... devi sapere che la tua bambina ha chiesto un regalino per te. Infatti mi ha dato le tue ciabatte. Guarda che belle... quindi era un po' dispiaciuta perché si era resa conto che tu eri rimasto senza regalo. Io non potevo dire di no! Così, dopo, ho venduto la slitta e l'ho comprato. Eccolo in questo pacco! Speravo che saresti passato...».
«Grazie, che bel pensiero! Lo metterò sotto l'albero e domani farò finta di niente. Ciao e buonanotte».
La mattina di natale tutti si alzarono dal letto e andarono a vedere sotto l'albero. Con sorpresa la bambina trovò il regalo e felice lo diede al papà.
Il papà notò che il pacco aveva un biglietto che prima non aveva osservato e lesse: «Per Francesca, mamma e papà, da Babbo Natale».
«Ah! così avevi chiesto a Babbo Natale un regalino per tutti noi...», sorrise il papà.
La bambina arrossì un po': «Sì! ha raccontato delle così belle favole... per questo ho voluto chiedergli qualcosa di particolare...».
Il papà scartò il pacco e tirò fuori tre paia di morbide ciabatte, grandi per lui e la mamma e piccole per Francesca... fu perplesso e un po' deluso. Non sapeva se dirle la verità, cioè che Babbo Natale era solo un povero vecchio.
La mamma invece senza pensarci su due volte esclamò: «Ah, che belle! Dai che le mettiamo subito, sembrano essere molto calde!».
Francesca fu contentissima e se le fece mettere dalla mamma. Calzate le ciabatte, sentì subito un benefico calore salirle dai piedini su fino al cuore e volle provare a camminare, come aveva chiesto di nascosto a Babbo Natale. Si alzò dalla carrozzella e ci riuscì... lo shock era finalmente superato!!
Il papà e la mamma abbracciarono felicissimi la bambina che andò loro incontro. Passati i momenti di commozione e grande felicità, il papà pensò di nuovo al vecchietto e domandò alla moglie: «Dimmi, era veramente Babbo Natale o no? Io per essere sincero non lo so più...».
«Ho visto la gioia di Francesca mentre gli parlava. Credo che lo sia veramente. Babbo Natale esiste, ma bisogna crederci fermamente. Altrimenti è solo un povero vecchio...».
Passarono insieme il più bel natale mai avuto fino ad allora.
Il giorno dopo il papà si recò alla chiesa per incontrare il vecchio. Infatti voleva mettersi le idee bene in chiaro. Lo vide seduto allo stesso posto a chiedere l'elemosina. Si avvicinò e balbettò: «Dimmi chi sei? Sai che grazie alle tue ciabatte Francesca ha cominciato di nuovo a camminare? Sei veramente Babbo Natale?».
«No, sono un normale vecchietto, sono solo riuscito a dare a Francesca speranza e fiducia...».
«Non so come ringraziarti. Anzi, ho deciso! Noi abbiamo un giardino e abbiamo bisogno di un giardiniere. Vuoi abitare da noi e curarlo?».
«Sarei contentissimo. Sarà bello poter parlare e vedere ogni giorno la tua bella famigliola».
Francesca e la mamma accolsero subito felicemente il vecchietto e, nonostante gli ricordasse Babbo Natale, non lo fecero mai notare e vissero tutti felici e contenti.
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Il fratellino

Era sera tardi e Luca, prima di chiudere le persiane e di andare a letto, guardava assorto le stelle.

Lo faceva ogni sera da quando aveva cinque anni. Ora, a sei anni, si sentiva già un ometto e con orgoglio pensava spesso a quella volta che aveva superato la paura del buio. Prima infatti, non andava mai a dormire da solo e voleva sempre che mamma o papà lo accompagnassero a letto e che la luce rimanesse accesa finché si fosse addormentato. Talvolta si svegliava in piena notte mettendosi subito a piangere e attendeva il soccorso dei suoi genitori.

Tutto cambiò quella sera quando la mamma dimenticò di abbassare la tapparella...

Quella notte fu scosso nel sonno da un rumore assordante proveniente dal giardino. Stava per mettersi a piangere, ma si rese conto che non era poi così tanto buio. Era infatti una notte chiara e dalla finestra s'intravedevano tante bellissime stelle. Si alzò e si avvicinò lentamente alla finestra... Aveva paura, ma sentiva nel cuore un gran coraggio che lo spingeva ad osservare il cielo e le stelle: ne rimase davvero affascinato! Luca non aveva mai visto la notte così a tarda ora: era così serena, chiara e brillante. Non si preoccupò nemmeno di scoprire chi o che cosa avesse provocato quel baccano poco prima, perché in quel momento tutto gli apparve piccolo e tranquillo. Da quella notte, sconfitta la paura del buio, era felice di poter andare a letto da solo e, prima di abbassare la tapparella, cercava di cogliere un'altra volta una così bel cielo stellato.

Mentre pensava sorridendo a questo episodio che era stato così importante per lui, osservava il cielo: era infatti di nuovo una notte molto serena, senza nessuna nuvola. Poi pensò anche alla mamma che, alcuni mesi fa a Natale, gli aveva detto che gli avrebbe dato un fratellino... Pensava al pancione che si ingrossava sempre più... Una volta Luca le aveva chiesto da dove fosse venuto e lei gli rispose: «Dal cielo!». Ora il cielo gli pareva doppiamente importante: si domandava se una di quelle stelle potesse essere il fratellino. «Dovrà forse prima crescere in cielo come stella e poi nascere come bambino? Chissà se anch'io sono stato prima una stella? mah! e se forse lo sono ancora?», rifletteva, «e il nonno, al quale avevo voluto così tanto bene e che non c'è più, sarà una stella anche lui ora?». Erano tutte domande che si poneva, dimenticandosi del buio e dell'ora tarda. Poi decise di salutare la notte, tirò giù la tapparella e, nel buio a carponi, si infilò nel letto e si addormentò presto serenamente: era contento all'idea di poter avere presto un fratellino con il quale giocare e parlare insieme.

La mamma gli faceva toccare spesso il pancione per far sentire a Luca quando il bambino tirava calci e si muoveva. Luca era molto felice: si sentiva importante quando, assieme al papà, poteva aiutare la mamma nelle piccole faccende di casa. Infatti la mamma non poteva fare molti sforzi e così lui la aiutava con gioia come poteva. Un giorno gli disse: «Senti come si muove ora, è cresciuto molto e fra poco nascerà... Dovrò andare all'ospedale... mi dispiace dover lasciarti solo per alcuni giorni, ma tu dovrai fare l'ometto e comportarti molto bene... La nonna verrà spesso a trovarti dopo la scuola per vedere se tutto va bene. Poi la sera ci sarà papà...».

«Oh! non sei mai andata via da casa per così tanti giorni: ma è proprio necessario?», le domandò Luca molto triste.

«Su dai, sii un ometto, ormai sei grande, hai sei anni e mezzo... Vedrai, quando tornerò con il tuo fratellino sarai molto contento e potremo stare di nuovo tutti insieme...», rispose la mamma cercando di consolarlo.

Alcuni giorni dopo la mamma dovette andare all'ospedale; il fratellino stava per nascere e lei aveva bisogno di cure e dell'assistenza dei dottori.

Nelle giornate che seguirono Luca si sentiva solo: andava a scuola e quando ritornava cercava di comportarsi da grande e non faceva notare la sua tristezza alla nonna e nemmeno al papà. Solo la sera, davanti alla finestra, ritornava se stesso e guardava il suo cielo. Voleva vedere se riusciva a cogliere qualcosa che gli dicesse che il suo fratellino stava per nascere... Ad un tratto vide una stella staccarsi e lasciare una lieve scia luminosa. Tutto eccitato corse dal papà che stava guardando la televisione in sala ed esclamò: «Papà, papà! Il mio fratellino è nato! ho visto cadere una stella...!».

«Su, calmati... non è ancora nato, bisogna pazientare ancora un po'... Però devo dirti una cosa: quella che hai visto non era una stella! Era una meteora, una specie di grande sasso, che passando dal cielo diventa incandescente. Ah! è così complicato e difficile da spiegare... Ora è tardi, vai a dormire... e non pensare a niente...», si affrettò a dire il papà. Lo baciò, mandandolo a letto con un' amichevole sculacciatina. Non aveva molta voglia di parlare, era tardi, ed era assorto nei suoi pensieri. Pensava alla moglie all'ospedale e al bambino che ancora non si sapeva quando sarebbe nato. Così si era messo davanti al televisore e guardava il telegiornale.

Luca tornò triste nella sua stanza e quella notte dormì lasciando su la tapparella: il cielo stellato lo rasserenava e gli faceva compagnia, così come la televisione faceva compagnia al papà.

Il mattino seguente squillò il telefono molto presto e subito dopo il papà andò da Luca: «Svegliati Luca! È nato questa notte... dai che andiamo a trovare la mamma...», ed in tutta fretta si prepararono per andare all'ospedale.

La mamma era sorridente a letto, in una stanza con altre mamme e teneva in braccio un piccolissimo bambino...

«Oh, che bella sorpresa! Siete venuti entrambi a trovarmi... Luca, guarda la tua sorellina... la chiameremo Serenella, è nata infatti ieri sera tardi; c'era un cielo molto sereno e pieno di stelle!», salutò la mamma molto commossa.

«Lo avevo detto io...», esclamò Luca, «che quella stella cadente era il mio fratellino... anzi la mia sorellina...».

«Ah, che sorpresa, una bambina! Così siamo veramente una bella famigliola...», disse il papà tutto contento. «Ma perché ci hanno telefonato solo stamattina?», domandò infine senza dare importanza all'esclamazione di Luca, che sotto sotto attendeva una conferma alla sua scoperta.

«L'ospedale si scusa, ma avevano un guasto ai telefoni e così hanno potuto avvisarti solo stamattina, ma è andato tutto bene... sono felicissima...», rispose la mamma, «fra pochi giorni potrò ritornare a casa...».

Luca e il papà attesero con ansia il ritorno della mamma con la bambina. Finalmente, dopo otto giorni, arrivarono.

Erano stati otto giorni di grande attesa e ansia per Luca, che aveva continuato a domandarsi come sarebbe stata la vita in quattro a casa. Da un lato era felicissimo per la sorellina, ma dall'altro sentiva che ci sarebbero stati molti cambiamenti: «Papà è così strano: non gioca più con me; la mamma è stata via per molti giorni e notti; e il fratellino... che poi è una sorellina...», pensava spesso tra sé.

La mamma ora stava bene e un po' alla volta poteva di nuovo muoversi e lavorare come prima. Ma con il tempo Luca notò che anche lei era cambiata: non aveva così tanto tempo per lui. Quando tornava dalla scuola, non giocavano più insieme, perché lei doveva badare alla sorellina. Serenella non era neanche così serena: piangeva molto spesso e con lei non poteva nemmeno giocare...

Passarono le settimane e Luca si fece, per la delusione, sempre più nervoso e dispettoso. Gli unici momenti dove si sentiva sereno era quando guardava il cielo stellato. Talvolta però era nuvoloso e così rimaneva con la tristezza interiore anche la sera e la notte.

La mamma doveva sgridarlo sempre più spesso, ed una sera mentre cenavano tutti insieme: «Dai, Luca, cerca di comportarti bene! Non essere così maleducato a tavola, mangia la minestra...».

«Non mi piace», le rispose Luca, «se la mangio sto male e poi dovrei andare all'ospedale...».

«Non esagerare! dovresti essere solo più comprensivo... Capisco che da quando è nata Serenella ti senti solo e trascurato, ma non devi essere geloso: ascolta, fra un mese è Natale e se sarai bravo, Babbo Natale ti farà un bellissimo regalo... anzi potrai sceglierlo tu, il papà lo dirà poi a Babbo Natale e lui te lo porterà...».

A queste parole Luca si sforzò molto e mangiò lentamente la minestra che, non per fare il dispettoso, non gli piaceva veramente... Era così teso ed ansioso che si sentì male. Il papà se ne accorse e lo prese per un braccio portandolo svelto in bagno. Luca si liberò presto della minestra, ma il papà, pensando che il figlio l'avesse fatto apposta, lo castigò mandandolo a letto senza cena.

Luca fu molto triste e si rese conto che doveva cambiare: così non poteva continuare e decise di comportarsi meglio, nascondendo ogni desiderio e insoddisfazione. Più tardi avrebbe detto al papà il regalo che desiderava per Natale, cercando così di ricompensare i suoi sacrifici.

Da quella sera Luca si comportò bene, senza lasciar intravedere alcun dispiacere. E quando mancarono pochi giorni a Natale la mamma gli chiese che regalo volesse per Natale e Luca tutto felice rispose: «La macchina rossa con i pedali che è in quel negozio vicino alla scuola!». Luca sorrise tra sé: «È un po' cara, ma penso proprio di meritarmela!».

«Va bene, lo dirò a papà e lui lo farà sapere a Babbo Natale, così la notte prima di Natale te lo metterà sotto l'albero», lo assicurò la mamma. «Ma tu dovrai continuare a fare il bravo bambino!», aggiunse ancora.

La vigilia di Natale, Luca non andò a letto subito e, non visto dai genitori, rimase alla finestra fino a tarda notte. Voleva vedere Babbo Natale con la sua slitta... e con gioia pensava al bel regalo scelto, che lo ricompensava da tante tristezze e da tanta solitudine. «Serenella mi ha portato via papà e mamma...», pensava tra sé, quando ad un tratto sentì un rumore in sala..., «Babbo Natale è già entrato! Come avrà fatto? Sono curioso di vederlo...», e si avvicinò silenziosamente nascondendosi dietro al divano... Con grande delusione vide il papà che stava mettendo dei regalini sotto l'albero: non era Babbo Natale... e dai pacchi capì che non c'era neanche l'automobilina tanto desiderata...

«Non mi vogliono più bene...», pensò quasi piangendo, «e mi hanno anche mentito e preso in giro dicendo che Babbo Natale esisteva e che portava regalini ai bravi bambini...».

Luca ritornò subito nella sua stanza in silenzio e si mise a piangere con il viso sotto il cuscino. Si sentiva terribilmente solo, e non sapeva più come fare per uscire da tanta tristezza. Dopo un po' si girò e rivide il cielo stellato e si sentì subito meglio. «Che bello, la notte mi è amica, qui a casa non sono benvoluto... Voglio uscire e scappare via...».

Luca sì vesti alla meglio, aprì la finestra ed uscì in giardino. «Ma dove vado? Conosco solo questo giardino, i negozi intorno a casa, la chiesa dove vado a messa, la strada che porta alla scuola e la piazza con la fontana che attraverso ogni giorno... Che cosa ci sarà al di là? e come farò? Non fa niente... Vado fino alla scuola e poi vedrò! Finché le stelle mi faranno compagnia non ho paura...», così pensava mentre camminava nella notte. Arrivato alla scuola ebbe un po' di paura, oltre il muro del recinto dell'edificio scolastico non era mai andato e si fermò pensieroso. Decise di correre per poter passare questo primo luogo sconosciuto il più in fretta possibile... arrivato alla fine del recinto, girò per seguire il marciapiede e andò addosso ad un anziano signore. Questi lo fermò e gli chiese dove andava così tardi nella notte... Al bambino mancarono le forze ed il coraggio e si mise a piangere dirottamente. Dopo un po' il vecchietto, dall'aria molto bonaria e allegra, cominciò a piangere anche lui... Luca se ne accorse e lo osservò attentamente: aveva una barba bianca e folte sopracciglia; e con sorpresa notò che somigliava molto al nonno.

«Perché piangi? sono io che sono triste e solo...», domandò al vecchietto.

«Ah, devi sapere che quando vedo dei bambini tristi mi viene subito da piangere, e tu devi essere veramente molto desolato..., dimmi cosa ti è successo», rispose il vecchietto singhiozzando e soffiandosi il naso con un fazzoletto rosso.

«Mi sentivo un ometto grande e forte, ma la mia nuova sorellina, Serenella, mi ha portato via mamma e papà e mi sono reso conto di essere ancora tanto indifeso e piccolo... Ho fatto il bravo bambino e non ho neanche ricevuto il regalo tanto atteso... Papà e mamma mi hanno anche mentito dicendomi che Babbo Natale esisteva, infatti stanotte ho visto che era solo papà che metteva i regalini sotto l'albero... L'unica cosa che mi dà serenità è il cielo con le sue bellissime stelle. E poi papà ha anche detto che le stelle non sono altro che grandi sassi...», raccontò Luca tutto d'un fiato, sfogando tutte le sue sventure con un pianto sconsolato.

«Su calmati, così non piangerò nemmeno io! Dai che parliamo un po' insieme. Mettiamoci là sulla panchina sotto quella grande quercia. Da lì si può anche ammirare il bellissimo cielo stellato...».

Luca si calmò, si sedette vicino al buon vecchietto e mentre lo ascoltava si sentiva sempre più sereno.

«Devi avere molto coraggio per uscire così da solo la notte... Sei veramente un ometto. Per fortuna hai incontrato me, che sono molto buono... immaginati se tu avessi incontrato un cane cattivo...».

«Sì, hai ragione... sono stato uno sciocco! So anch'io dei pericoli che si possono incontrare, infatti avevo paura di oltrepassare il recinto della scuola: è un posto a me sconosciuto... Se penso che avrei potuto andare addosso al bidello della scuola... è così cattivo e antipatico... Sono contentissimo di averti incontrato... sai che mi ricordi molto mio nonno... Ora non c'è più, ed io sono convinto che sia una di quelle tante stelle...».

Il bambino lo guardò per ricordarsi meglio e vide i suoi occhi brillare come stelle e fu molto sorpreso: «Ma certo! Tu sei mio nonno... Ti sei solo fatto crescere la barba...», esclamò abbracciandolo forte forte...

«Sì sono io... Hai ragione a pensare bene delle stelle: ce ne sono così tante! Sai, ti ricordi quando siamo stati una volta al mare... Bene, ci sono più stelle dei granellini di sabbia che formano la spiaggia; più stelle dei fiocchi di neve che vedi cadere dal cielo ogni inverno quando fa freddo! e pensa ogni stella è diversa dalle altre! Così la nostra forza di vivere, il nostro volersi bene viene dalle stelle ed ognuno di noi ha la sua stella, vicina o lontana, piccola o grande, luminosa o meno... tutto dipende da come ti comporti, se fai il bravo bambino o no...», gli rivelò il nonno, felice di poterlo abbracciare ancora.

«Oh! nonno, che bello vederti... Ma dimmi, perché nessuno lo sa, nessuno me lo aveva mai detto... e Babbo Natale esiste?».

«Beh! veramente non lo sa nessuno... tu credi che mamma e papà sappiano tutto, ma ti sbagli... Tu sei un bambino e però ti credi già un ometto... Mamma e papà sono persone adulte ma in verità ogni adulto è come se fosse un grande bambino... solo quando diventi una stella sai più o meno la verità. In ogni modo, Babbo Natale esiste... tu stanotte l'hai anche visto».

«Non è vero... ho visto solo papà che non mi portava il regalino che tanto desideravo... Anche tu non lo sei, sei solo mio nonno... per cui non l'ho visto...», disse perplesso e dubbioso.

«Ti sbagli... nel momento in cui papà metteva i regalini sotto l'albero, lui era Babbo Natale... Se il tuo papà non avesse voluto esserlo, non ti avrebbe portato niente, ma solo carbone. Ogni persona può essere cattiva o buona... un imbroglione o Babbo Natale, devi solo voler tanto bene...», gli spiegò il nonno.



«Papà e mamma non mi vogliono più bene... vogliono solo bene a Serenella...», disse il bambino, non molto convinto.

«Lo sai anche tu che ti vogliono bene», lo rassicurò il nonno. «Forse non si comportano come vorresti... ma non è la cosa principale... Devi sapere che Serenella è ancora piccolissima e non può fare niente da sola. E così mamma e papà devono starle molto vicino per farla crescere sana e forte, come hanno fatto con te... Hanno forse poco tempo per te, ma non ti hanno dimenticato! Anzi: perché non aiuti anche tu Serenella a crescere bella e forte...? Quando è nata tu l'hai vista: era la stella che cadeva dal cielo. Ora la stella è dentro di lei... aiutala a diventare una stella bella e brillante, felice e serena...», gli spiegò infine il nonno, guardando il cielo stellato con nostalgia e serenità.

«Oh! nonno... ti ringrazio... sono tanto commosso e ho capito tante cose... Da oggi vorrò comportarmi molto bene, non per avere macchine o grandi regali, ma per vedere il mio cielo sempre più sereno e splendente...», disse Luca, l'ometto che ormai non piangeva più e sentiva una grande serenità interiore. «Mi rendo conto che vuoi ritornare lassù, mi dispiace molto che tu parta... ma mi consolerò provando a cercarti ogni notte tra le tante stelle».

Il nonno lo accompagnò a casa. Luca lo salutò un po' triste ma fiducioso nel futuro. Entrò silenzioso dalla finestra nella sua stanza per ritornare a letto: era felice che mamma e papà non si fossero accorti della sua assenza. Si affacciò subito alla finestra per vedere il nonno... ma lui non c'era già più nel giardino, e guardò in cielo: vide una stella che stava salendo, molto luminosa e brillante... e cercò di tenersi bene in mente dove si fermò.

La mattina, a Natale, si svegliò e si grattò la testa... Non sapeva più se aveva sognato o meno... Il nonno gli aveva veramente parlato o no...? erano vere quelle cose che aveva sentito...? Non si preoccupò perché, anche se tutto fosse stato vero, non lo avrebbe comunque mai potuto dimostrare: le stelle sono così lontane... e nessuno lo avrebbe mai creduto... l'importante è che lui si sentisse molto sereno e felice...

Si alzò dal letto e andò ad abbracciare mamma e papà per augurare loro un felice Natale... e non si dimenticò di Serenella: le diede i suoi primi bacini sulle guance... Mamma e papà lo videro e furono molto commossi.

«Buon Natale, Luca. Guarda sotto l'albero... Babbo Natale ti ha portato dei bei regalini...», esclamò il papà che era un po' preoccupato. Infatti quando era andato per comprare la macchina, questa non c'era più. Avrebbe dovuto andare prima, ma per i troppi pensieri vi era andato solo ieri. Sperava tanto che Luca potesse essere felice lo stesso...

«Oh, che bello... mi è molto simpatico Babbo Natale... vediamo un po'...», prese sereno un piccolissimo pacchettino con il suo nome e lo scartò... Con immensa gioia vide un anello tutto d'oro, e lo riconobbe subito: era l'anello di nozze di suo nonno... e subito andò ad abbracciare con le lacrime agli occhi papà e mamma...

«Scusami Luca! Ma la macchina rossa non c'era più! Così, d'accordo con la nonna, ti abbiamo fatto questo regalo molto prezioso e di grande valore morale... speravo tanto che tu avessi capito... e fossi stato lo stesso felice...».

«Sì, papà, lo sono! Non preoccuparti, è il più bel regalo che mi potevi fare...», esclamò gioioso. «Grazie mamma, da oggi in poi voglio aiutarti anch'io con Serenella affinché cresca felice e serena. Scusami se sono stato cattivo...».

Da quel Natale tutta la famiglia visse felice e contenta; Luca fu veramente un ometto bravo e educato, sempre sereno e sicuro di se stesso, mai egoista e cattivo con gli altri... Teneva ben custodito l'anello di suo nonno e non vedeva l'ora di crescere per poterlo infilare al dito... ma doveva meritarselo: ogni notte osservava il cielo stellato senza mai dimenticare di rivolgere un saluto al nonno che, in quella notte, lo aveva aiutato a crescere un po' di più
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14185

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La grande fiera del giocattolo

In una città con tantissimi bambini era finalmente arrivato l'avvenimento dell'anno: la grande fiera del giocattolo.

Natale era infatti alle porte e ogni anno, in questo periodo, la città organizzava la fiera. Era una fiera molto conosciuta: i venditori venivano da tutte le parti del mondo per far conoscere la loro merce. Là vi erano tutti i regali possibili che i genitori potevano fare ai loro bambini per renderli felici.

Per l'occasione, un ricco direttore di banca decise di prendere il pomeriggio della vigilia di Natale libero: voleva anche lui visitare la fiera quest'anno! Mentre si avviava, pensava tra sé: «Questo Natale voglio regalare al mio bambino una cosa molto bella ed interessante. Me lo posso permettere... Ho lavorato sodo tutto l'anno e sono disposto a spendere molto... anzi... tantissimo!».

Quello stesso pomeriggio anche un giardiniere si recava alla fiera e camminando pensava: «È stato un anno un po' duro con il mio piccolo stipendio, però sono riuscito ugualmente a risparmiare un pochino... spero di poter comprare qualcosa di carino alla mia bambina».

Intanto, le loro mogli erano rimaste a casa con i bambini e preparavano il pranzo di Natale. Il bambino del direttore era nella sua cameretta. Nonostante la stanza fosse molto bella e vi fosse un armadio colmo di pupazzi e giocattoli, egli era un po' triste. Pensava infatti al suo papà. Lo vedeva così poco. La sera tornava dal lavoro proprio quando lui doveva andare a letto. Oppure era occupato, perché si portava anche del lavoro a casa. Cercava di consolarsi pensando che domani sarebbe stato Natale e che avrebbe ricevuto altri bei regali. Ma la cosa che più lo rasserenò era che finalmente il papà domani poteva essere a casa con lui tutto il giorno.

La bambina del giardiniere invece aiutava serenamente la mamma a preparare il pranzo di Natale. Non aveva molti giocattoli, ma, grazie alla vivacità e alla fantasia dei suoi genitori, non si sentiva mai sola. «Domani è Natale, chissà che bei giochi faremo tutti insieme!», pensava felice.

Giunto alla fiera, il banchiere cominciò subito a guardare con occhio critico ogni giocattolo esposto. C'era tutto ciò che un bambino potesse desiderare: dai trenini elettrici alle biciclette, dai pupazzi di peluche ai libri, ecc. Voleva comperare qualcosa di veramente grande per suo figlio, ma soprattutto qualcosa che lo tenesse occupato e al tempo stesso lo divertisse. Era sempre così impegnato e concentrato nel suo lavoro che non gli dedicava molto tempo per giocare insieme.

Il giardiniere, arrivato anche lui alla fiera, si guardava in giro con calma. Era solo un po' preoccupato perché sperava di trovare qualcosa che potesse piacere alla sua bambina e che non fosse troppo caro. Anche se sapeva che non avrebbe potuto comprare molto, non si lasciò sfuggire niente. Voleva raccontare e descrivere alla sua bambina ogni cosa vista.

Verso sera il direttore ed il giardiniere si incontrarono per caso davanti ad una stanza dove all'ingresso c'era un grande cartellone con la scritta: «Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio». Videro entrare molta gente incuriosita, ma quasi tutti uscivano delusi e scontenti. Incuriositi, a loro volta decisero di entrare. Era una grande stanza con le pareti bianchissime, molto illuminata, era quasi vuota e non c'erano giocattoli. In fondo alla stanza c'era soltanto un grande specchio antico appeso al muro e davanti ad esso, seduto ad una scrivania, un vecchio signore con una lunga barba bianca. Egli scriveva ed ogni tanto guardava la gente che entrava e usciva.

Il direttore, perplesso e deluso, stava per uscire subito, ma quando vide il giardiniere avvicinarsi al vecchio chiedendogli gentilmente chi fosse, si avvicinò lentamente anche lui. Sentì il vecchio rispondere: «Sono molto anziano, per tutta la vita ho costruito giocattoli per i bambini del mondo. Ma quest'anno ho portato qualcosa di particolare e prezioso... questo bellissimo specchio antico alle mie spalle». Il direttore ed il giardiniere si guardarono in faccia stupiti, poi riguardarono lo specchio. Disorientato e quasi irritato il direttore si girò per andarsene, ma ancora una volta si fermò, perché vide il giardiniere stringere la mano al vecchio e con il volto felice esclamare: «Ho capito! Ora so cosa regalare alla mia bambina. Non sono più preoccupato... arrivederci e grazie mille». Il giardiniere uscì poi felice dalla stanza. Il banchiere, rimasto solo, guardò di nuovo lo specchio e pensò che cosa potesse fare un bambino con uno specchio così antico e fragile. Non osando chiederlo al vecchio, che incuteva molto rispetto, uscì in fretta per cercare di raggiungere il giardiniere. Non appena lo trovò gli chiese subito che cosa mai avesse capito.

«Mi dispiace, non posso dirtelo!», rispose il giardiniere. «Devi arrivarci da solo. Vedrai che un giorno capirai il perché questo possa essere il regalo più bello per tuo figlio!».

Il giorno di Natale, la figlia del giardiniere aprì il regalo e tutta felice ammirò con gioia le bellissime penne colorate ed i grandi fogli bianchi da disegno che suo padre le aveva comperato alla grande fiera del giocattolo. Si alzò e lo abbracciò: «Grazie papà, così potremo disegnare insieme tutte le belle cose che hai visto alla fiera».

«Non solo, bambina mia», disse il padre. «Potremo disegnare altre cose molto più belle, per esempio la neve... Guarda fuori dalla finestra... sta ancora nevicando! Sai, questa notte, dopo molti anni, ha nevicato tantissimo. E siccome tu non hai ancora visto la neve, più tardi andremo con la mamma a fare una passeggiata tutti insieme e così potrai toccarla e giocare. Potremo lanciarci palle e fare un pupazzo... Vedrai che bello!». Anche il figlio del banchiere era contento quel mattino. Stava aprendo un grandissimo pacco ricevuto in regalo. Con sorpresa non finiva più di tirare fuori dal pacco tanti piccoli vagoni di un treno; c'erano anche le rotaie e molte casette che figuravano da stazioni e case di campagna, verde per i prati, per i monti, alberi e siepi, e persino un fiumicello con i suoi ponti.

Era molto felice: sicuramente il papà lo avrebbe aiutato a costruirlo... oggi finalmente era tutto il giorno a casa con lui e la mamma. Ma, mentre si avvicinava per abbracciarlo e ringraziarlo, suonò il telefono. Il padre si alzò dalla poltrona e andò a rispondere. Il suo viso si fece serio. Riattaccò e guardando un po' triste la moglie ed il figlio riferì: «Anche oggi il lavoro mi chiama! Mi dispiace molto, ma domani devo essere a New York per una conferenza importante. Devo partire subito!».

La moglie non disse nulla. Era abituata. Il bambino invece ci restò male. Il suo viso si fece triste e gli spuntarono due lacrime. Il papà lo notò e cercò di consolarlo: «Non piangere! Lo sai che ti voglio molto bene. Poi, per il trenino, non occorre proprio che ci sia anch'io! Potrai costruirlo con la mamma...».

Il bambino si girò e stava per scappare piangendo nella sua stanza, ma inciampò in un pacchetto tutto bianco avvolto con un nastro rosso. Si chinò e seduto sul tappeto cominciò ad aprire il pacco. Era triste e cercò di consolarsi con questo nuovo regalo. I genitori si guardarono perplessi. Quindi il padre chiese: «Non credevo ci fossero altri regali... Sei stata tu?».

«No!», rispose la mamma. «Sono rimasta tutto il giorno a casa a preparare il pranzo. Non so chi possa averlo messo sotto l'albero di Natale!».

Il padre si avvicinò preoccupato al bambino e al regalo. Voleva sapere da dove provenisse e soprattutto assicurarsi che non contenesse qualcosa di pericoloso.

Il bambino intanto aveva aperto delicatamente il pacco e con sorpresa tirò fuori una palla rossa con tanti puntini bianchi, come tanti fiocchi di neve. Il padre guardò il figlio ed il regalo e poi prese la scatola per vedere se c'era qualche bigliettino con il nome di chi lo aveva regalato. Con stupore lo trovò: «Babbo Natale». Chiuse gli occhi pensieroso e subito si ricordò del vecchio con la lunga barba bianca che incuteva tanto rispetto. Poi si ricordò anche dello specchio e delle parole che erano scritte all'ingresso della stanza: «Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio». E finalmente capì anche lui e si commosse. Nello specchio aveva visto la sua immagine e si rese conto che lui stesso era il regalo più bello per suo figlio! Questo il giardiniere l'aveva capito subito!

Abbracciò il bambino e piangendo di felicità esclamò: «Oggi non parto. Rimaniamo insieme... Oggi sei tu più importante del mio lavoro. Dai che usciamo in giardino... giocheremo con la palla nuova e la mamma farà il tifo per noi».

Mentre tutta la famiglia usciva felice per giocare insieme, cominciò a nevicare anche là dove abitava il bambino che, da quel giorno, non si sentì più solo e triste.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14186

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Il maestro

I lunghi e caldi giorni dell’estate stavano per lasciare posto all’autunno.
Le vacanze estive erano ormai finite, domani sarebbe iniziata la scuola: i bambini non giocavano più spensierati ed allegri, e già da alcuni giorni si preparavano a tornare o a cominciare per la prima volta la scuola.
Anche Mario ci pensava ed era molto agitato: era stato informato dalla mamma che quest’anno avrebbe avuto un altro insegnante.
La maestra degli anni precedenti aveva avuto un bambino ed aveva smesso d’insegnare. Anche gli alunni non sarebbero stati gli stessi perché la classe era stata divisa.
«Come saranno i nuovi compagni? ...ed il maestro? Spero non come il mio papà: lui è così meticoloso e pignolo!», si chiedeva continuamente, girandosi e rigirandosi nel letto.
Quella notte non riusciva ad addormentarsi: decise di accendere la luce e prese a sfogliare nervosamente un libro illustrato. Dopo un po’ di tempo guardò il suo orologio: erano le undici... Mario osservò ancora l’orologio, ricevuto in dono il Natale precedente, e gli vennero in mente le parole del papà: «Ormai sei grande! Ti meriti un orologio come si deve... Ma attento a non romperlo: è molto caro...», gli aveva raccomandato con una certa severità.
Il bambino spense la luce. «Fra poche ore inizierà la scuola: la terza elementare! La mamma non mi accompagnerà più... pensa che sono grande...! Ed il maestro...?», si chiese timoroso e di nuovo sperò che non assomigliasse al papà.
Infatti il papà, nato e cresciuto a Zurigo, dopo l’apprendistato presso un orologiaio zurighese, si era trasferito a Lugano e aveva aperto un negozio di orologi.
Si era sposato e subito dopo nacque Mario. Purtroppo era così preso dal suo lavoro che quando tornava a casa dal negozio sembrava portasse con sé quel ticchettio costante e intransigente. Sorrideva e giocava poco con il bambino e voleva che tutte le cose fossero in ordine perfetto. Inoltre mamma e papà discutevano spesso ad alta voce o litigavano. Mario voleva molto bene ai genitori, ma tutta quella tensione lo rendeva molto insicuro e non si sentiva mai del tutto compreso: temeva che un giorno questo dissenso si potesse rivolgere contro di lui...
Il mattino seguente fu svegliato all’improvviso dalla mamma: il papà era già andato a lavorare e lei si era addormentata! La scuola iniziava tra pochi minuti e loro erano tremendamente in ritardo.
Si lavò velocemente il volto stanco per la notte insonne, prese la sua nuova cartella e quella mattina la mamma decise di accompagnarlo a scuola.
Le lezioni erano già incominciate, cercarono la classe e dopo aver bussato alla porta, entrarono. Il maestro si avvicinò salutandoli gentilmente. La mamma, un po’ a disagio per il ritardo, salutò tutti e lasciò in fretta l’aula. L’insegnante fece sedere Mario all’unico posto rimasto libero in prima fila, proprio davanti alla lavagna. Accanto a lui sedeva un bambino che gli sorrise: ora la classe era al completo. Il maestro porse a tutti i bambini diverse domande: chi erano, dove abitavano e quanti anni avevano e fu con tutti molto gentile. Alla fine anche lui si presentò: si chiamava Giovanni, desiderava insegnare loro tante cose e sperava che in poco tempo tutti si sarebbero sentiti a proprio agio con lui.
Mario si affezionò subito all’insegnante: egli era veramente una brava persona e si impegnava molto con tutti i bambini. Si accorse che cercava di creare molta serenità nella classe: teneva sottocchio i più vivaci, si occupava un po’ di più dei timidi e faceva l’autoritario con i bambini dispettosi.
Mario si impegnò molto sin dal principio: voleva fare bella figura, soprattutto per il papà. Desiderava meritarsi il suo riconoscimento ed essere lodato: «Papà sarà sicuramente contento di me se riuscirò ad imparare tante cose... Voglio che sia orgoglioso di me, come lo sono io di lui!».
I primi giorni di scuola passarono piacevolmente: dopo ogni ora di lezione c’erano dieci minuti di pausa. Mario fece così amicizia con gli altri bambini e giocava con loro durante gli intervalli. Solo con Carlo, il suo compagno di banco, aveva difficoltà. Infatti, egli era un bambino dispettoso e continuava a fare scherzi, era distratto durante le lezioni e prendeva in giro tutti, in particolare Mario. Ma le cose cambiarono...
Un giorno Carlo si prese gioco di Mario e gli disse: «Oh! che orologino porta il cocco di papà? Sei sicuramente... un moccioso viziato!».
«È un regalo di Natale...», arrossì Mario, ma senza perdersi d’animo gli chiese: «E tu che cosa hai ricevuto in dono...?».
«Io sono grande e non credo certo ancora a Gesù Bambino! Io, a Natale, non ho bisogno di niente!...», gli rispose beffeggiandolo.
«Oh, mi dispiace...! Mio papà è orologiaio e così ogni anno a Natale e al compleanno mi regala un orologio. Ti assicuro che da tanto ormai desidero qualcosa d’altro...! Se vuoi te ne regalo uno...!».
Carlo rimase imbarazzato dall’imprevista generosità: «Va bene...! Se proprio vuoi...».
«Certo...! E tuo papà che cosa fa?», continuò Mario sempre più deciso.
«Mio papà è un uomo d’affari molto importante ed è sempre in viaggio...! Lo vedo molto poco, ma mi vuole bene lo stesso...!».
Nella sua affermazione Mario notò un po’ di amarezza e fu certo che in quel momento aveva guadagnato anche la sua amicizia. L’indomani Mario mantenne la promessa e portò l’orologio al suo compagno di banco: Carlo era commosso per il dono inaspettato e da quel giorno si affezionò sempre più al suo nuovo ed unico amico.
Il tempo passava e i genitori di Mario erano contenti dei progressi del figlio. Il papà era ancora molto severo, ma Mario acquistava finalmente sempre più fiducia in se stesso e riusciva a sopportare meglio le esigenze del papà: di lavarsi sempre bene le mani, di comportarsi correttamente, di mangiare tutto a tavola, di non lasciare niente in disordine, di andare a letto sempre puntuale alle otto e mezza... tutti compiti imposti con una certa autorità.
Un pomeriggio, mentre tornava a casa tutto contento per aver fatto ancora molto bene a scuola, vide parcheggiata al bar vicino a casa sua, una bellissima motocicletta rossa, con un potente motore. Si avvicinò per guardarla meglio.
«Anch’io da grande avrò una moto così bella... Studierò molto e me la meriterò!», pensò.
Dalla curiosità allungò una mano per toccarla e ad un tratto la moto cadde rovinosamente a terra. Il motociclista che era dentro al bar, sentito il tonfo della moto, si precipitò fuori sul marciapiede. Dapprima Mario guardò un po’ impacciato l’uomo per scusarsi, poi, quando costui si avvicinò, notò il suo sguardo irato e si spaventò. Voleva scappare, ma era troppo tardi... Il motociclista lo afferrò alla spalla e lo girò di peso dandogli un forte calcio nel sedere. Il bambino sentì un intenso dolore e cadde a terra... Dolorante ed esterrefatto cercò di rialzarsi e piangendo gli chiese: «Perché? Che cosa ho fatto di male... L’ho solo sfiorata... sicuramente era parcheggiata male!».
Ma l’uomo non voleva sentire ragione e iniziò a minacciarlo: «Vattene moccioso! E guai a te se dirai a qualcuno del calcio... potrei picchiare te ed anche i tuoi genitori!!».
Poi rialzò la motocicletta e, visto che non aveva subito danni, la mise in moto e partì. Mario, ancora barcollante dallo spavento, si asciugò le lacrime e cercò di calmarsi... Mentre tornava a casa si chiedeva se doveva raccontarlo alla mamma: le parole minacciose di quell’uomo riecheggiavano nella sua testa ed aveva paura che un giorno si avverassero. Cercava di giustificare l’accaduto, ma era talmente turbato che si convinse a dar ragione a quel signore: non avrebbe dovuto toccare la moto!
Con queste riflessioni entrò in casa e cercò la mamma. La trovò in bagno.
«Fuori di qui!», gridò la mamma. «La lavatrice si è rotta...! C’è acqua saponosa dappertutto...!».
Mario chiuse la porta e andò triste nella sua cameretta. Quella sera il papà tornò molto affaticato dal lavoro. Mario lo notò e così non raccontò del calcio neanche a lui...
Ma a tavola egli si accorse che il figlio era più silenzioso del solito: «Che c’è Mario...? perché sei così taciturno? È successo qualcosa a scuola?».
«Oh... niente. Sono solo stanco...!», rispose Mario, versandosi un po’ d’acqua.
Il padre lo osservò attentamente e si rese conto di qualcosa, mentre il figlio appoggiava la caraffa. «Mario...! Hai rotto l’orologio...!», gridò, rimproverandolo di averglielo tenuto nascosto. Dalla sorpresa nonché dalla tensione Mario rovesciò il bicchiere colmo d’acqua sul tavolo e non riuscì a pronunciare parola. Poi balbettò: «Nnn... non è vero...!». Il papà gli afferrò il polso, mostrandogli il vetro infranto dell’orologio... Il bambino si spaventò: non se n’era accorto! Doveva essere successo quando era caduto a terra per il calcio. Mario non aggiunse nulla e suo padre, deluso dal comportamento del figlio, gli diede un forte schiaffo. Mario pianse e corse in camera sua.
La mamma si alzò per andare a consolarlo, ma il marito la trattenne dicendo: «Lascialo andare...! Deve imparare a non dire le bugie e ad aver rispetto per le cose...!».
Così Mario rimase solo con la sua desolazione: gli avevano già dato dei bonari scappellotti, ma mai così imprevisti e senza colpa. Disteso nel suo letto pensava e ripensava a quella brutta giornata e per la prima volta si rese conto che temeva il papà.
«Da oggi in poi non voglio più disturbare nessuno...», e si convinse che se accadeva tutto questo era solo colpa sua, del suo comportamento.
I giorni correvano veloci verso l’inverno e Mario continuava a pensare al calcio e allo schiaffo ricevuti. Non era ancora riuscito a confidarsi con qualcuno e con il tempo cominciò a peggiorare anche a scuola. Temeva di incontrare il motociclista, ma nello stesso momento lo desiderava: avrebbe voluto dirgli che non aveva detto a nessuno dell’accaduto. Il pensiero che egli avrebbe potuto far del male ai suoi genitori lo tormentava. In classe era distratto e non era più concentrato nell’ascoltare le lezioni. Mentre nei prima mesi era uno dei migliori ora si vedeva raggiunto anche dai più svogliati. La tensione e la paura si erano impadronite di lui al punto che aveva difficoltà sia a leggere che a scrivere.
Carlo, che grazie all’amicizia di Mario e all’attenzione del maestro era diventato molto più educato e bravo a scuola, se ne accorse subito: l’unico suo amico non giocava più spensierato con lui come prima e parlava molto poco. Ma non riusciva a scoprire cosa gli fosse accaduto.
Un giorno notò che non portava più l’orologio: «Che c’è Mario...? Sei triste perché hai rotto l’orologio? Tuo papà ti ha sgridato?».
«No...! A Natale... sicuramente ne riceverò un altro...! Non è successo niente. Vorrei solo essere lasciato un po’ solo!», mentì Mario per non dover parlare.
Carlo vi rinunciò ma sperò con tutto il cuore che il maestro se ne accorgesse e l’aiutasse come aveva fatto con lui.
Mancava ormai poco a Natale e tutti i bambini attendevano felici i regali che avrebbero trovato sotto l’albero. Solo Mario sperava di non ricevere ancora un altro orologio ma solo un po’ più di comprensione dal suo papà.
Dopo un giorno più duro e faticoso del solito, Mario si avviò triste e deluso a casa. Si ricordò che la mamma quel pomeriggio andava dal dentista e così ne approfittò per fare un giro più lungo passando per il parco Ciani, lungo il lago.
Nonostante l’inverno avesse reso il paesaggio un po’ spoglio, il tappeto marrone di foglie , la brezza del lago e le montagne circostanti lo fecero sentire meglio. Prese a passeggiare verso il porto. Per la prima volta notò la piccola piazzetta cinta da una siepe: nel mezzo vi era una statua che raffigurava un vecchio accasciato su una sedia con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le gambe inerti. Rimase colpito dalla tristezza e dalla desolazione che ispirava quella statua: sentì di assomigliare molto a quel vecchio e si avvicinò per guardarlo meglio. Stette ad osservarlo immobile. Fu scosso da alcuni passi dietro di lui: si irrigidì dalla paura e pensò al tipo della moto.
«Ciao, Mario, che ci fai qui da solo nel parco, non hai paura?».
Mario riconobbe la voce del suo maestro e si girò felice: «Sì, ho un po’ di paura... Ma la mamma rientra tardi oggi pomeriggio e così ho pensato di fare un giro più lungo passando per il parco... è così bello...!», rispose. «Non avevo mai notato questa statua... è molto triste, chi è?», domandò infine Mario.
«Quando sarai più grande lo studierai anche tu a scuola... È Socrate, un grande maestro... Anche lui insegnava ai bambini e ai giovani... Non solo matematica, leggere o scrivere, ma insegnava i concetti fondamentali della vita. Insegnava come trovare le cose belle nel mondo ed in se stessi. Devi sapere che anche molto tempo fa c’erano degli uomini che negavano e disprezzavano tutto, dicendo che non c’era nulla di vero e d’importante... Beh, Socrate cercò d’insegnare loro il contrario: ha avuto molti discepoli, alunni che lo hanno capito ed ascoltato, così le sue parole sono giunte fino a noi. Purtroppo non tutti hanno condiviso il suo prezioso messaggio e alcune persone, che non l’avevano capito, lo costrinsero a bere la cicuta, un potente veleno. Ecco perché la statua lo rappresenta così senza vita. I suoi ultimi giorni furono molto tristi, ma morì convinto di aver insegnato qualcosa di importante e duraturo. Vedrai, più avanti imparerai anche tu a conoscere il suo insegnamento e a capire...».
«Non capisco... Per quale ragione si possono disprezzare le cose belle?».
«Beh, devi sapere che Socrate, per poter godere delle bellezze della natura (questi alberi che si alzano maestosi lungo i viali, il cinguettio degli uccelli, i prati, i fiori...) visse in povertà ma fu molto sereno. Purtroppo oggi molte persone apprezzano e danno importanza solo a se stessi, al denaro o al lavoro, scordandosi del prossimo e della natura. Socrate l’aveva capito tanti secoli fa, ma ancora oggi non si riesce a metterlo in pratica...», spiegò il maestro.
«Ah!», pensò tra sé Mario. «Come il motociclista che era preoccupato solo per la sua moto, senza pensare al male che mi faceva...!». Il bambino ascoltava attentamente: era felice ed orgoglioso di avere lui per maestro.
«Ma dimmi, Mario... anche tu mi sembri triste come Socrate ultimamente, stai seduto al tuo posto e non dici più una parola... c’è qualcosa che non va?», chiese infine l’insegnante.
Il bambino fu sorpreso e nello stesso momento anche risollevato. Aveva molta fiducia nel suo maestro ma si ricordò della minaccia e nascose la verità: «Oh, niente... Sono solo stanco... È così difficile la scuola...».
«Lo so che la scuola è un po’ difficile ma tu sei un bravo scolaro!! All’inizio andavi molto bene... Non credo sia colpa della scuola... Neanche Carlo lo pensa: è molto preoccupato per te! Ma se hai difficoltà a parlarne perché non me lo scrivi?», propose il maestro.
«Dai siediti qui sulla panchina e scrivilo nel tuo quaderno...». Mario era molto emozionato: l’uomo della moto gli aveva detto di non dirlo a nessuno quindi... poteva scriverlo! Tirò fuori dalla cartella il suo quaderno: sfogliandolo rivide le prime pagine scritte molto bene ma le ultime... un disordine unico.
«Non temere, vedrai, ce la farai! Sei sempre stato uno dei migliori...», lo incoraggiò il maestro. Mario prese la penna: voleva finalmente sfogarsi e liberarsi da quel peso che lo faceva chiudere sempre più in se stesso. Scrisse: "Ero contento di imparare molte cose con il nuovo maestro. Ma un giorno ritornando a casa da scuola ho visto una bella moto. L’ho solo sfiorata e la moto è caduta per terra. Un uomo è corso fuori dal bar e mi ha dato un forte calcio. Mi ha detto di non dirlo a nessuno altrimenti avrebbe picchiato ancora me e anche i miei genitori. Inoltre papà ha molto lavoro. Il suo negozio è pieno di orologi ed ognuno funziona perfettamente. Tutti hanno la stessa ora. Il papà e la mamma sono così meticolosi e seri ed io non so mai come comportarmi per non innervosirli. Vorrei essere anch’io un orologio svizzero e non disturbare nessuno".
Scritto ciò Mario consegnò il quaderno al maestro facendogli un sorriso...
L’insegnante lo lesse attentamente, poi anche lui gli sorrise e lo abbracciò dicendo: «Bravo! Sei stato bravissimo a scrivere così bene! Normalmente gli altri bambini impiegano più tempo, mentre tu... guarda che progresso hai fatto! Vedrai che ce la farai a superare la tua paura... Vieni con me ora, ti accompagno a casa...».
Mario era molto orgoglioso di sé e si avviò verso casa con il maestro chiacchierando amichevolmente.
«... Tu sei un bambino, non un orologio, e ti devi comportare come tale. Anche il tuo papà lo sa, e sicuramente ti vuole molto bene. Forse anch’egli, come tanti altri, è cresciuto troppo in fretta ed ha scordato come si guarda la realtà con gli occhi di un bambino. Ora vuole fare l’adulto e ti vuole insegnare l’ordine, la serietà, l’educazione, la pulizia ed il lavoro... Sono valori importanti ma a te non dicono ancora niente, poiché non li puoi toccare, non sono vivi come i fiori, gli animali. Perché non gli insegni a ritornare un po’ bambino e gli fai conoscere le cose che piacciono a te: gli alberi, i fiori, le stelle...? Secondo me diventerebbe più sereno...».
Nel frattempo arrivarono davanti al bar e Mario sussultò rivedendo la moto rossa parcheggiata sul marciapiede.
«Non aver paura... Non ti farà niente, dai che entriamo...», disse il maestro. Mario dapprima ebbe paura, ma sentendo la mano del suo maestro, grande e forte stringere la sua, si rassicurò e lo seguì nel bar...
Riconobbe l’uomo seduto in un angolo, dietro ad un tavolo, con un grande bicchiere di birra vuoto... Era seduto male, le gambe allungate e il capo ciondolante sulle spalle. Mario pensò a Socrate, ma a differenza della statua che incuteva rispetto e serietà, si rese conto che l’uomo era ubriaco e nel guardarlo sentiva solo compassione. Egli alzò pesantemente la testa e li vide entrare. Mario lo guardò a sua volta, ma poi si rese conto che lui non l’aveva riconosciuto, infatti subito dopo chinò nuovamente la testa e si addormentò. Prima che il maestro si avvicinasse per parlare al motociclista, Mario gli fece cenno di andare via.
L’insegnante lasciò perdere ed uscirono. «Grazie, maestro! Mi hai aiutato molto... Non ho più paura e ho capito che non può farmi niente. È solo un povero diavolo, anche lui avrà i suoi problemi! Cercherò di evitarlo...».
«Va bene... Sai, lo conosco di vista...! È il papà di Carlo... Ora è disoccupato e solo: Carlo e la mamma non vivono più con lui, sono divorziati...!».
Mario restò sorpreso da questa rivelazione e rivolse un pensiero all’amico Carlo. Poi ripensò al suo papà ed ebbe un’idea: «Ho un’idea! perché non parli tu a mio papà, magari riusciresti a farlo ritornare un po’ bambino come me?», disse rivolgendosi al maestro.
«Mi dispiace, ma non credo di essere bravo come Socrate! Chi può insegnare ad un uomo a diventare bambino se non un bambino?».
«Non credo di esserne capace...».
«Non devi impegnarti...! Cerca solo di essere te stesso: se hai voglia di giocare, gioca! se hai voglia di ridere, ridi! se hai voglia di osservare, guarda! Vedrai che piano piano anche il tuo papà imparerà, senza che tu debba fare niente di particolare... Inoltre ricordati che non sarai mai solo. A Natale viene sempre un grande Maestro per aiutarti!».
«Chi? Socrate?!?».
«Ma noo! Gesù Bambino!».
«È vero! non ci avevo pensato...», arrossì Mario.
«Non solo...! E non dimenticarti di Carlo: aspetta solo di vederti di nuovo sereno a scuola!».
«È vero...! Che bello ritornare a scuola...!».
Arrivarono infine a casa di Mario, e si salutarono amichevolmente. Mario entrò in casa pieno di energia: era fiducioso sul proprio futuro. Avrebbe aspettato il grande Maestro Gesù Bambino che non aveva insegnato a leggere o a scrivere, ma ad amare la vita ed il prossimo...
Questo Natale avrebbe dato a papà una letterina per Gesù Bambino, nella quale chiedeva di ricevere non il solito orologio, ma di aiutarlo a riportare il sorriso e l’allegria dei bambini sul viso dei suoi genitori.
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Calendario dell'Avvento 2012 11 Anni 4 Mesi fa #14187

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I pupazzi di neve

Tutto il piccolo paese, le case, gli alberi ed i prati erano colmi di neve soffice e fresca. Non era ancora Natale, mancava poco alla prima settimana d'Avvento...

Nei giardini delle case, tra urla di gioia e lanci di palle di neve, tutti i bambini: Antonio, Giovanna, Paolo, Maria... giocavano insieme e costruivano pupazzi di neve. Tra i bambini più grandi spiccava Nicoletta che da poco abitava nel paese, ma aveva già guadagnato la simpatia di tutti; lei insegnava con gioia ai più piccoli ed organizzava i lavori.

«Su dai! Prendi una palla di neve... la stringi bene, forte forte!», incitò felice. «Forza! Mettila per terra sulla neve e... ora falla rotolare!».

«Che bello... La palla si ingrandisce...», esclamò Antonio...

Tutti insieme si divertivano. Solo un bambino di nome Arturo era ben deciso a non partecipare ai loro giochi. Era molto introverso e talvolta anche capriccioso. Chiuso nella sua cameretta guardava la televisione. Trasmettevano un film poliziesco. Arturo la guardava spesso e sognava di diventare forte e grande come gli eroi e gli uomini duri che vedeva nei diversi films.

Il sole stava per tramontare, il vocio e gli entusiasmi dei bambini fuori casa si mescolavano ai dialoghi nella cameretta, che, con le tende tirate, era illuminata solo dal video...

«Il mio amico è ferito gravemente! Ora la pagherete!», ...Bang! Bang...! «Ahh...! La mia spalla... Maledetti poliziotti, avete colpito anche me! Devo scappare... Mi dispiace amico, ma devo lasciarti!!».

«Dai!! Quando la palla sarà così grande da non poterla più spingere, chiama aiuto e noi grandi ti daremo una mano».

I bambini del paese volevano costruire un pupazzo di neve nel giardino di ogni casa e si impegnavano nel loro intento prima che calasse la sera. Nella cameretta di Arturo invece... il bandito, ferito alla spalla, lasciava l'amico alla sua sorte...

La porta si aprì, il bambino ebbe un sussulto. «È solo la mamma», pensò tra sé.

«Su, dai Arturo! Vai a giocare fuori con gli altri bambini», lo esortò gentilmente, «vedrai che ti divertirai!».

«No! Io non gioco con i bambini più piccoli. Ormai ho nove anni e sono già grande!!».

«Non essere così scontroso! Te ne stai lì impalato e hai un visetto triste...».

«Non sono triste! Sto guardando un bellissimo film, molto interessante. Ed io non me lo voglio perdere!».

«Niente da fare», si innervosì la mamma. «La televisione la guarderai un' altra volta! Ora esci e vai a giocare!».

«No, io non esco!», insistette con una certa ribellione . «Se uscissi... li spaccherei tutti quanti quei ridicoli palloni di neve...», rispose Arturo volgendole uno sguardo minaccioso. Era ben deciso a vedere il film fino in fondo: voleva restare vicino al suo eroe e non abbandonarlo alla sua sorte!

La mamma si rattristò. Le dispiaceva che il figlio le rispondesse così. «Va bene...», disse, «guardala pure... Ma se credi di far la cosa migliore... Beh, ti sbagli di grosso!».

Arturo non aggiunse nulla, felice d'aver ottenuto quel che voleva. «Io so cos'è la cosa migliore per me», pensava, mentre la mamma, delusa, andava in cucina.

La mamma voleva preparare la cena. Fra poco suo marito sarebbe tornato a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Anche lui aveva difficoltà con il figlio: insieme non riuscivano a fargli capire che non doveva essere così dispettoso e prepotente... «Ah!», si ricordò la mamma, «divenne così insopportabile da quella volta... Proprio l'anno scorso, subito dopo Natale...».

A Natale dell'anno scorso... Arturo aveva ricevuto tanti bei regali da Gesù Bambino, ma era felicissimo soprattutto per la bicicletta che aveva tanto desiderato. Per averla, aveva scritto una letterina a Gesù Bambino già alla fine di novembre, promettendogli che si sarebbe comportato bene tutto l'anno. Purtroppo la gioia durò poco: Arturo, dopo aver giocato tutta la giornata di Natale con la bicicletta, disordinato com'era, la lasciò incustodita al bordo del marciapiede. E fu la notte dopo Natale che nevicò tantissimo: una fitta coltre di neve coprì tutto... anche la bicicletta. Il mattino seguente passò un operaio del comune con un grande spazzaneve per liberare le strade: c'era così tanta neve che lui non si accorse della bicicletta e la travolse, distruggendola.

Arturo ci rimase molto male e non abbandonò mai l'idea che Gesù Bambino prima gli aveva donato la bicicletta e subito dopo tolta. «Sì, è colpa sua... È lui che ha fatto nevicare! È colpa sua se ora la mia bici è distrutta!», imprecava spesso.

Mentre preparava la cena la mamma pensava a tutto questo. Si soffermò un attimo a guardare i bambini fuori che giocavano: notò che Antonio e Giovanna si erano fermati esausti davanti ad un' enorme palla di neve, alta quasi come loro, e non erano più in grado di farla rotolare. Vide Nicoletta accorrere per aiutarli a dare l'ultima spinta e farla rotolare fino al posto scelto. Intanto Paolo arrivava con un' altra palla un po' più piccola. Le due palle erano vicine: tutti insieme cercavano di issare la palla meno grande su quella più grande in basso. «Oh issa! Oh issa!», gridavano. Alla fine le due palle erano perfettamente l'una sopra l'altra. Poi fecero rotolare un' altra palla, molto più piccola che, con sorpresa dei più piccini, posero sopra i due palloni. Ora sì che il pupazzo di neve prendeva forma: una testa, un corpo e le gambe!

Il papà entrò in casa. Salutò Arturo che stava ancora guardando la televisione e gli domandò come mai non fosse fuori con gli altri bambini a costruire i pupazzi di neve. Arturo non gli rispose nemmeno e si limitò a mormorare: «Ciao, papà!». Il film stava infatti per finire e non voleva perdersi il grande finale.

«Va bene... vorrà dire che il nostro giardino sarà l'unico senza pupazzo di neve a Natale!», dichiarò il papà deluso dal comportamento del figlio ed andò in cucina a salutare la mamma.

Arturo fece finta di niente, ma quelle parole serie del papà in qualche modo lo colpirono...

Dopo il film, prima di andare a tavola a mangiare, Arturo si affacciò alla finestra. Con tristezza vide che tutti i giardini delle case vicine avevano un pupazzo di neve... I bambini alla fine avevano messo ad ognuno un capello, gli occhi e la bocca; alcuni avevano anche una giacca ed una scopa infilata nel braccio. Sembravano dei bravi guardiani delle loro case. L'unico giardino senza pupazzo era proprio il suo.

A tavola Arturo parlò poco anche se mamma e papà cercarono più volte di rivolgergli la parola. Ad un tratto la mamma si ricordò di qualcosa: si alzò e prese dalla credenza la ghirlanda dell'Avvento, molto bella, ornata con pigne colorate e quattro grandi candele rosse. La pose al centro del tavolo e papà accese subito una candela dicendo: «Oh che bello! Oggi inizia l'Avvento, fra poco è Natale e festeggeremo Gesù Bambino!».

«Sarà un bel Natale... avete visto quanta neve c'è già fuori?», osservò la mamma.

«A me non piace la neve!», ribatté con cattiveria Arturo ed andò in fretta nella sua cameretta senza aver finito di mangiare.

Il papà e la mamma si guardarono tristi, ma lo lasciarono fare... Tempo fa avevano provato a parlargli con buone maniere, gentilmente, poi con più autorità ed in seguito anche sgridandolo, ma non erano mai riusciti ad ottenere niente, anzi Arturo peggiorava sempre di più. Ora cercavano solo di fargli capire che si stava facendo male da solo e non si comportava bene.

Dopo un po' il papà andò nella sua cameretta e gli disse dalla porta: «Lo so che ce l'hai con la neve e con tutto. Ma ti prego: cerca di cambiare, altrimenti sarai sempre solo! Buona notte!».

Arturo non ci fece caso, rimase immobile nel suo letto e continuò a leggere un libro. Il papà chiuse la porta ed andò ad aiutare la mamma a sparecchiare la tavola.

«No! Non sono solo... Ho la televisione, i miei libri... Non ho bisogno degli altri...», pensò il bambino, tuttavia non era molto convinto.

Molto più tardi, Arturo si affacciò alla finestra per rivedere i pupazzi di neve... Fu preso da un impeto di gelosia quando si ricordò delle parole di papà: «Il nostro giardino sarà l'unico senza pupazzo di neve a Natale!». Non riuscendo a darsi pace, si vestì bene per ripararsi dal freddo ed uscì dalla finestra. Aveva paura del buio e del freddo, ma il desiderio di compiere anche lui un' azione temeraria era più forte del timore di essere scoperto.

Appena fu in giardino, prese una pala ed andò a distruggere uno alla volta tutti i pupazzi di neve del vicinato.

«Niente più pupazzi...», pensò Arturo, ma sotto sotto si rendeva conto di aver fatto qualcosa di cattivo...

Il mattino seguente tutto il paese guardava stupito ciò che era rimasto dei pupazzi di neve. I bambini più piccoli piangevano mentre i più grandi cercavano di consolarli.

«Oh! chi sarà mai stato??», chiese triste Antonio.

«Oh! poveri i nostri pupazzi di neve... erano così belli... Sarebbe stato fantastico averli avuti con noi fino a Natale!!», esclamò Giovanna.

«Dobbiamo fare qualcosa! Eravamo così orgogliosi del nostro lavoro e poi davano allegria al paese... Credi che la polizia e i nostri genitori troveranno e puniranno il colpevole??», chiese dispiaciuto Paolo.

«Mi dispiace... non credo proprio!», rispose Nicoletta. «Lo so: per noi erano molto importanti, come gli alberi e gli uccelli, ma purtroppo per loro erano in fondo solo dei pupazzi fatti con la neve, che comunque si sarebbero dissolti al sole... Però non piangete! Vi assicuro che per Natale li rifaremo, tutti insieme. Speriamo nevichi ancora! Ci occorre neve fresca e pulita: solo così vengono belli bianchi e lucenti!».

«E se li distruggessero ancora?», chiese Maria. «Sai, credo che sia stato Arturo. Ieri era l'unico bambino che non giocava con noi, ed è sempre così antipatico! Ah... eccolo lì!! Sta uscendo dal cancello con la slitta! Dai che lo chiamiamo... Arturo! Arturo!!».

Arturo si girò tutto spaventato, vide i bambini e senza dire una parola ritornò di corsa a casa, lasciando la slitta fuori sul marciapiede.

«Ah, lasciamolo stare! Arturo è un bambino molto solo... Non so perché, ma avrà i suoi problemi. Sarebbe inutile metterci a litigare con lui. Peggioreremo solo le cose. Spero invece che si renda conto del male che ha fatto e che cambi idea. Ma non scoraggiatevi, forza, alla prossima nevicata li rifaremo!!!», esclamò Nicoletta con determinazione alzando un braccio al cielo!

«Sì, li rifaremo!!», gridarono solidali gli altri, contenti e sicuri di riuscirci.

«È se non nevicasse...», pensò tra se Nicoletta, ma tacque per non scoraggiare i piccoli.

I giorni passavano lentamente... ma non nevicava! La neve nei giardini era sempre meno ed era più sporca e grigia. Ogni sera i bambini guardavano il cielo per vedere se si avvicinavano delle nuvole.

«No! Anche oggi non ha nevicato...! E domani...??».

La neve era ormai sparita, lasciando solo delle enormi pozzanghere. Tutti i bambini erano tristi. Tutti? No, solo Arturo era compiaciuto: «Tra pochi giorni è Natale, non credo nevicherà ancora. I giardini non avranno il pupazzo di neve... Nessuno lo avrà... come me!».

Ma qualcuno in cielo ascoltò le preghiere dei bambini del paese e soprattutto quelle di Nicoletta... Il cielo si coprì lentamente di nuvole chiare e poi di nuvole sempre più scure ed iniziò quindi a nevicare: tanta neve soffice e fresca.

Alla Vigilia di Natale ci fu finalmente la tanto desiderata neve e Nicoletta, con la gioia di tutti diede il via ai lavori... e alla sera i giardini ebbero nuovamente i loro pupazzi.

«Oh che bello!! Eccoli di nuovo tutti qui i nostri pupazzi! Non preoccupatevi per Arturo, ho in mente qualcosa...», li rassicurò subito dopo Nicoletta e tra sé pensò: «Speriamo che funzioni...».

Quella sera la mamma di Arturo accese la quarta candela della ghirlanda e lo chiamò: «Arturo, dai vieni a vedere le quattro candele accese! Domani è Natale e verrà Gesù Bambino a trovarci!».

«Gesù Bambino non esiste, da molto tempo so benissimo che siete voi a portare i regali, come quella bicicletta che mi è stata distrutta l'anno scorso».

«Ascolta Arturo, io non parlo di regali... Lo sai benissimo anche tu che questo Natale non ti meriti un bel niente... Io parlo di Gesù Bambino... Del Bambino che è nato tra noi. Egli ha portato la speranza e la bontà tra gli uomini. Sai, molto tempo fa erano molto più cattivi di adesso... E così ogni Natale torna a trovarci nei nostri cuori. Cerca di cogliere questo dono anche tu, cerca di vedere le cose, gli amici con occhi più felici e meno arrabbiati».

Arturo guardò le quattro candele e pensò: «Domani è Natale ed io mi sono comportato così male ultimamente!». Stava per piangere, si girò in fretta perché non voleva essere visto dalla mamma e si diresse subito in camera senza riuscire a dire qualcosa.

Poco dopo i genitori entrarono nella sua cameretta per augurargli lo stesso la buona notte: «Arturo, domani è Natale! Buonanotte!».

«No! Io non sono cattivo...», gridò quasi Arturo, sentendo un forte bisogno di giustificarsi. «Posso dirlo io: ogni giorno quando guardo la televisione, vedo cose molto più brutte e cattive di quelle che faccio io!! Persone che si sparano e che si fanno del male... Persone che mentono e che dicono brutte parole... Sì, anche se sono stato io a distruggere i pupazzi di neve, anzi credo che lo rifarò questa notte, non sono sicuramente peggio di loro!!».

La mamma ed il papà furono sorpresi da questa piccola confessione: «Ah, non avremmo mai dovuto prendere una televisione tutta per te... E pensare che te l'abbiamo detto mille volte di non guardarla troppo! La televisione mostra tristemente anche molte cose brutte e crudeli. Ma non per questo tu devi imitarle, pensando poi che i tuoi dispetti non siano così cattivi come quelli della televisione...».

Arturo si coprì il viso con le coperte...

«Arturo! Spero che tu abbia ascoltato la mamma... Comunque, se questa notte li distruggessi ancora, ricordati che sono solo dei pupazzi di neve, che prima o poi si dissolveranno ugualmente! Farai del male solo a te stesso...», concluse il papà uscendo dalla stanza abbracciando la mamma triste.

Il bambino non capiva, era molto agitato e nervoso: «No! Non sono cattivo... Non mi comporto male... Faccio cose che molti altri fanno...».

Anche quella notte decise di uscire: ben coperto e con la pala stretta stretta nella mano. Era molto più chiaro dell'altra volta: c'era infatti la luna piena e tutto il paese era illuminato da una luce argentea, ma non per questo si rassegnò.

Arturo andò nel giardino vicino a casa sua, aprì il cancello...

Nicoletta sentì un lieve cigolio... e si svegliò di scatto. Quella notte aveva il sonno molto leggero: la paura che potessero ancora rompere i pupazzi di neve l'aveva tenuta quasi sveglia. Sì alzò ed aprì un pochino la tapparella della finestra per non essere scoperta. Come supponeva, vide Arturo e si spaventò notando che il suo volto era deciso e non lasciava intravedere alcun timore.

«Speriamo che funzioni!!», pensò Nicoletta tremando tutta.

Arturo si avvicinò al pupazzo di neve ed alzò il bastone per colpirlo... ma si fermò! Con spavento vide gli occhi del pupazzo brillare e per un momento gli sembrarono veri.

«No! Sono solo due grandi bottoni di vetro che con il riflesso della luna scintillano un po'...», si disse, cercando di sopprimere l'agitazione. Infatti gli altri pupazzi avevano come occhi solo dei sassolini. Incuriosito, cominciò ad osservarlo meglio. Era molto bello: oltre agli occhi di vetro azzurro che l'avevano così colpito, notò il naso fatto con una carota fresca, la bocca sorridente ricavata da una striscia di stoffa rossa e tra le labbra una grande pipa. I bambini gli avevano modellato bene le guance ed il mento. Un bel cilindro nero gli copriva la nuca ed attorno al collo aveva un grande fazzoletto rosso con puntini bianchi. Poi notò un biglietto attaccato con una spilla al fazzoletto... Lasciò cadere la pala, si tolse i guanti e con le mani tremanti lo prese e lo lesse lentamente: «Ciao Arturo! Sono Nicoletta. Un pupazzo di neve... Che male ti ha fatto? perché vuoi distruggerlo? Non dà forse allegria al giardino ed al paese? Puoi benissimo romperlo se vuoi, ma perché far del male ai bambini che l'hanno fatto e che sicuramente lo rifaranno?? perché non vuoi essere nostro amico e giocare con noi?».

Arturo si commosse... Tornò di corsa nella sua stanza dalla finestra e si buttò sul letto piangendo per tutta la notte.

Il mattino seguente, tutte le campane suonavano a festa. Arturo si svegliò desolato per il senso di colpa che aveva nel cuore! Sentì delle voci in sala... «Mamma e papà si sono già alzati. Sicuramente riceverò solo... carbone», si alzò per andargli incontro...

«Oh! Gesù Bambino... È venuto lo stesso a trovarmi!», si stupì Arturo mentre apriva la porta della cameretta. Infatti vide i genitori che stavano per terminare, sotto la finestra, un bellissimo presepe. Si avvicinò per guardarlo meglio... Fuori intravide i pupazzi di neve e gli sembrò che anche loro fossero tante statuette di un unico ed immenso presepe...

Si ricordò dei bambini che li avevano fatti, mentre lui era davanti al televisore...! Si rese conto che la finestra di casa sua era una televisione molto più bella, più vera e reale! Purtroppo lui, influenzato dalle immagini televisive, stava diventando sempre più aggressivo, come i due banditi del film...! E pensandoci bene, proprio non lo voleva!! Avrebbe preferito giocare ed essere amico dei bambini del paese. Già da molto tempo non giocava più con loro... aveva persino rovinato i loro giochi... No, non voleva far male a nessuno e si decise che da oggi avrebbe cercato di contribuire a mantenere questa serenità nel suo paese!!

«Buon Natale, mamma e papà!», disse loro abbracciandoli forte forte. «Che bello... è proprio una bella sorpresa...».

«Buon Natale, Arturo! Siamo contenti che ti piaccia... Ci siamo alzati presto stamattina... Anche se sei stato cattivello quest'anno, volevamo farti lo stesso un regalo. Ogni Natale potremo rifarlo insieme...».

«Lo farò con piacere... Così mi ricorderò sempre di questo Natale... Questa notte non ho rotto di nuovo i pupazzi di neve... Mi sono reso conto quanto cattivo sono stato, mentre loro erano così indifesi! Ma ora ho capito e da oggi cercherò di comportarmi molto meglio... Sapete ho proprio una grande voglia di costruirne subito uno anch'io! Così il nostro giardino non sarà l'unico senza pupazzo di neve...».

«Bravo, Arturo...! È bello vederti di nuovo così sereno... Dai che lo facciamo tutti insieme!».

Uscirono allegri in giardino e si misero subito all'opera.

Nicoletta, quella mattina, volle ringraziare per prima Gesù Bambino per l'abbondante nevicata e si avviò presto presto in chiesa. Passò dal giardino di Arturo...

«Ciao! Nicoletta, buon Natale!», la chiamò Arturo, andandole subito incontro.

«Buon Natale, Arturo!».

«Grazie mille, per il tuo biglietto, mi ha aiutato molto. Scusami se ho distrutto i pupazzi l'altra volta...».

«L'ho già dimenticato! È bello vederti giocare con i tuoi genitori... Eri sempre così solo! Dai, domani vorresti giocare anche con me e con tutti gli altri bambini?».

«Sarebbe bello! Sarei contentissimo di far parte della tua compagnia ed essere vostro amico...».

«Certo!», lo rassicurò felice Nicoletta. «Ecco! Ho pensato di farti un regalino...».

Arturo aprì subito il pacchetto. Con gioia tirò fuori due bellissimi bottoni celesti di vetro e, avvolta nella carta stagnola, una carota fresca.

«Che belli... mi serviranno proprio!!».

Mentre guardava Nicoletta allontanarsi, Arturo capì che quel Natale il suo cuore aveva ricevuto due grandissimi doni: il rispetto verso il prossimo e l'inizio di una vera amicizia.
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